La Clitodissea
È seriamente innocente, dopotutto, quando la raccolgo con i suoi occhioni blu alla Miley Cirus, i capelli biondi contornati da un cerchietto, le sue origini semi-nobili a rendere la violenza che mi appresto ad infliggerle politicamente corretta, con l’aiuto di diverse pasticche somministrate senza il suo consenso. Sedici anni da poco compiuti, purtroppo un affare che si preannuncia semi-legale – anche se per me ne ha comunque quattordici. Mi confida nel bagno del palazzo in cui si sta svolgendo la festa, con la voce soffocata dalla mia verga venosa e le mani a mulinare i testicoli resi enormi dal mio cockring zebrato preferito, che una volta un vecchio le ha toccato il culo e lei ha avuto paura di rimanere incinta e che da grande vorrebbe fare la giornalista, possibilmente in giornali e produzioni televisive della sinistra antagonista nonostante abbia i soldi per sfamare interi stati africani, la California e i giornalisti Rai.
La sua bocca è fresca di mughetto e i filamenti di saliva formano un arabesco di perversione e sesso minorile preliminare che vanno assolutamente inquadrati in una cornice più adatta per una lenta e bestiale deflorazione. Ad un certo punto decido di finire il lavoro di pelle a casa mia, liquidando gli altri ospiti con vari “non si sente troppo bene”, “domani ha il compito di algebra e devo darle delle ripetizioni” o “credo che alla fine della serata lei finirà con una benda nell’occhio come la Mondaini, solo che questa volta non si tratterà di tumore”, così questi annuiscono mentre si apprestano a stringersi in cerchio intorno alla vecchia contessa a carponi sul tappeto imperiale, con delle vistose abrasioni alle ginocchia. E insomma nel tragitto continua a parlarmi delle sue aspirazioni, sempre negli intervalli in cui non le premo la testa sul mio pube rischiando più volte di affogarla, poi una volta arrivati scosto la fotomodella taglia 39 che giaceva inerme sul mio letto da qualche ora, i capelli ancora impiastricciati di sborra, baby-oil e acqua santa e getto di prepotenza la quattorsedicenne, a cui ho già rimosso in ascensore il vestitino di seta, il tanga di pizzo e il delizioso tacco 8 nero (che, tra l’altro, si applica perfettamente alla forma del mio cazzo), spalancandole le gambe, rimuovendo il cockring e incominciando a trivellare la sua montagnola ancora priva di scorie nucleari interrate o valsusini, e dopo un’ora in cui ho provato più posizioni che le leggi ad personam approvate in questi ultimi 15 anni qualcosa del quadro generale davvero mi sfugge. Lei è totalmente immobile, gli occhi semichiusi, bianchi e rovesciati all’indietro, non ansima più, il respiro è flebile, impercettibile: sarà la sua tattica di godimento, penso sul primo momento, notando al contempo un certo smollamento nelle parti basse, e di conseguenza realizzando di averle completamente spaccato il bacino e l’osso pelvico, il che, voglio dire, sono cose che possono succedere, ma non a casa mia. Poco male, posso sempre dire di non sapere che questo appartamento è mio, o rivendicare l’azione per conto di qualche organizzazione dedita al killeraggio di nobiltà, semi-nobiltà e conduttori dei programmi della mattina sulle reti ammiraglie delle tv commerciali, ma invece, con grande sorpresa, mi coglie una sensazione invasiva di un qualcosa che non avevo mai provato prima, in tutti questi anni – la vergogna, la vergogna e il senso di colpa.
Ma un lavoro è un lavoro, e va comunque finito. Dopo una ventina di pompate esplodo l’obice sulla sua faccia, concentrandomi in particolar modo sull’occhio sinistro, poi mi alzo con il mortaio pericolosamente oscillante, semi-eretto e sgocciolante, vado in bagno a prendere una benda e l’applico sull’occhio ricolmo di liquido biancastro e appiccicoso. Un buon lavoro. Prendo la mia sacca ed esco.
#1
adramelch
Geniale!
Veramente ben scritto e con uno stile originale e visionario.
Complimenti.