Canestri Nordcoreani
I. Reattori Nucleari per Air Jordan
Nel 1992 i Portland Trailblazers erano una squadra che avrebbe potuto tranquillamente vincere il titolo NBA. La formazione di partenza possedeva un perfetto mix di atletismo e tecnica difficilmente eguagliabile: c’erano Terry Porter, Kevin Duckworth, Buck Williams, Jerome Kersey e Clyde Drexler, il giocatore che per caratteristiche più si avvicinava a Michael Jordan. Al draft del 1984 – lo stesso da cui erano usciti Barkley, Olajuwon e Stockton – i Trailblazers preferirono Sam Bowie (seconda scelta) a MJ. La motivazione: avevano già Drexler, non c’era bisogno di un’altra guardia. Jordan la prese come un affronto personale e giurò vendetta a “Clyde The Glide”. I playoff del 1992 erano la perfetta opportunità di fargliela pagare e dimostrare una volta per tutte chi fosse il migliore.
3 giugno, Chicago Stadium, gara 1 delle Finals. Sugli spalti ci sono più di 18mila persone. Portland inizia forte: infila tutti i sette canestri iniziali e va a +8 durante il primo quarto. Jordan, ovviamente, non ci sta. Riduce il divario con i jumper da due punti, quasi tutti in faccia a Drexler, e sommerge di triple i Blazers. Verso la fine del secondo quarto, Chicago conduce 66 a 49. MJ ha già segnato 32 punti e 5 canestri da tre: nessuno aveva mai fatto una simile prestazione durante il primo tempo di una finale. E non è ancora finita. Manca poco più di un minuto e Clyde Drexler porta palla a metà campo, fa un paio di palleggi verso la parte destra del campo e, disturbato da Scottie Pippen, spara un improbabile tiro da tre che non tocca nemmeno il ferro.
Dal rimbalzo si sviluppa il contropiede guidato dal playmaker di Chicago John Paxson. Jordan arriva dalla sua area, riceve palla fuori dall’arco e tira, senza preoccuparsi di sistemare la posizione dei piedi. La palla traccia una decisa parabola nell’aria racchiusa dal palazzetto e sbatte seccamente sulla parte interna dell’anello. Il fruscio della retina viene sovrastato dal boato del pubblico e dalle urla dei radiocronisti. I punti sono 35, le triple 6: è record assoluto. MJ corre in difesa e solleva le spalle per qualche secondo. Il gesto passerà alla storia come “The Shrug”, la scrollata. La partita finisce 122 a 89 per i Bulls; la serie 4 a 2. È il secondo titolo del primo three-peat.
In un certo senso, quella scrollata racchiudeva tutta la sicurezza nella quale si cullava l’impero americano dei primi anni ’90. La prima guerra del Golfo era stata vinta agevolmente. La recessione sembrava ormai un lontano ricordo, pronta a defilarsi per fare spazio agli anni della prosperità clintoniana. La Storia aveva finito il suo ciclo, e nell’aria vibrava uno sconfinato senso di fiducia: ormai non c’era più nulla da temere – nemmeno la minaccia nucleare della Corea del Nord, Paese che nel 1985 aveva firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Nel maggio del 1992 il regime dell’allora leader Kim Il Sung aveva permesso a un team dell’AIEA guidato da Hans Blix di visitare la centrale di Yongbyon (attiva dal 1965), dove si sospettava che si stessero producendo testate atomiche. L’ispezione, tuttavia, non andò bene: i nordcoreani fecero di tutto per ostacolare il lavoro di Blix.
In quell’anno, nell’ambito di una conferenza accademica sul futuro della penisola coreana, vi fu anche il primo contatto politico tra Washington e Pyongyang. La storia dell’incontro la racconta su American Diplomacy Eugene D. Schmiel, all’epoca vicedirettore degli Affari Coreani del Dipartimento di Stato. “Non intrattenevamo relazioni diplomatiche, eravamo (e siamo ancora) tecnicamente in guerra ed era proibito avere contatti diplomatici formali”, spiega Schmiel. Gli americani sapevano però che l’élite del regime piratava (per non pagare il “dazio capitalista”) il segnale di Cnn, Espn e altri canali statunitensi, e dunque si aspettavano che i tre diplomatici nordcoreani invitati all’evento “conoscessero un po’ la cultura americana”.
Tra una pausa e l’altra, Schmiel ha l’occasione di parlare con uno dei funzionari – quello che aveva “un buon inglese, un passato nell’intelligence e legami stretti con il Caro Leader”. Tale funzionario, sorseggiando il caffè, propone una soluzione per appianare le divergenze sul programma nucleare nordcoreano: gli Stati Uniti potrebbero fornire reattori ad acqua leggera che, oltre ad essere più efficienti, non producono materiale fissile, elemento necessario per costruire un’arma nucleare. Schmiel si mostra perplesso. Dice che il costo di una simile operazione (più di tre miliardi di dollari) è proibitivo, e che il Congresso approverebbe una simile misura solo nella remota eventualità di un drastico cambio nella politica del regime del Grande Leader.
Finita la conferenza, i diplomatici dei due Paesi si danno appuntamento per cena. La discussione procede per il meglio. Il direttore della delegazione nordcoreana ad un certo punto alza il calice e propone un brindisi per l’ex presidente Bush (il padre). Poi tira fuori dal portafoglio una foto in cui ci sono lui e George H. W. davanti alla Casa Bianca, entrambi sorridenti. È un falso plateale che suscita ilarità generalizzata. Verso le 10 di sera, il funzionario guarda l’orologio e improvvisamente esclama: “Basta, basta. Ci sono Micheal [Jordan, nda] e i Bulls su TNT, e devo vedere se Scottie [Pippen, nda] si è ripreso dall’ultimo infortunio”.
Gli americani pensano che sia un altro scherzo. Sono costretti a ricredersi non appena il direttore si fionda sul televisore, lo accende e guarda in religioso silenzio la palla a due che apre Chicago Bulls vs. Cleveland Cavaliers. “Abbiamo passato il resto della serata a discutere non di politica, ma di tecniche di tiro e se fosse il caso che l’NBA lasci difendere a zona”, scrive Schmiel. Da come parlava il funzionario nordcoreano, inoltre, “era chiaro che avesse guardato l’NBA per molti anni”.
Nel 1993 Gene Schmiel viene trasferito all’ambasciata americana di Reykjavik, in Islanda. Prima di lasciare definitivamente l’incarico agli Affari Coreani decide di regalare alcuni consigli ai suoi epigoni: “Mi raccomando, ditegli sempre come stanno andando Michael Jordan e i Bulls”.
Dopo la ping pong diplomacy degli anni ’70 tra Usa e Cina, era giunto il momento della basketball diplomacy con la Corea del Nord.
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Drop the Hate / Commenti (3)
#2
#3
Fede
No, ero serio. L’articolo mi è piaciuto molto.
Come quasi tutti gli articoli presenti su questo sito.
#1
Fede
Il basket come chiave di lettura dei rapporti diplomatici fra USA e Corea del Nord negli ultimi 25 anni. Davvero un’idea ottima.