Forza, Lupo!
Voi lettori, che siete gente sveglia, sapete meglio di me che la giustificazione dell’invidia per ogni atto ostile mosso contro qualcuno che spicchi per qualche motivo sulla massa (perché è ricco, intelligente, affascinante, famoso; quello che volete) regge fino a un certo punto, o molto spesso non regge per nulla e si rivela per quel che è, ossia un ridicolo alibi.
Resta il fatto, tuttavia, che la maggior parte della gente è noiosa e vive esistenze noiose. Giovanni Di Stefano, avvocato italo-inglese arrestato a Palma di Maiorca il giorno di San Valentino, non appartiene a questa stragrande maggioranza di grigi figuranti. Lo si accusa per l’occasione di frode e appropriazione indebita, e a occhio e croce non si tratta di teoremi tanto inverosimili (si tenga presente, tuttavia, che negli anni ’80 la giustizia inglese lo condannò per lo stesso crimine a cinque anni, salvo cancellare in appello, dopo tre anni, ogni attribuzione). Ma incastrare Di Stefano per simili criminucci sarebbe ridicolo.
Giovanni Di Stefano, nato nel 1955 a Petrella Tifernina e portato cinquenne a Northampton (ma lui definisce quel trasloco “un rapimento“, è il figlio di emigranti che si ribella al proprio destino anonimo, che a venticinque anni diventa ricco importando videocassette da Hong Kong, che a trentasette vola in Jugoslavia e diventa consigliere di fiducia, e amico, di Željko Ražnatović “Arkan” e di Slobodan Milošević. In seguito si vanterà di aver lealmente onorato quest’amicizia:
Quando arrivavano le bombe su Belgrado, nel 1999, tutti sono scappati via. Io invece il 24 marzo sono partito per Belgrado per essere con il presidente e con Arkan. Uno non può mangiare al tavolo di un amico, di un cliente e poi scappare nel momento in cui l’amico è in difficoltà. Questo sono io, Giovanni Di Stefano, di Petrella Tirfernina, figlio di gente leale. Neanche i romani ci hanno conquistato a noi.
Giovanni Di Stefano è l’uomo che forse non è neanche abilitato a comparire in tribunale – la questione è controversa, e nel 2004 la giustizia britannica ha indagato a proposito, senza risultati – e che però vanta tra i propri clienti Saddam Hussein, Charles Bronson, Alì il Chimico, Ronald Biggs1, Charles Manson e Ian Strachan2, Manuel Noriega, mentre sostiene di aver incontrato o conosciuto John Gotti, Bernie Cornfield, Mohamed Al Fayed, Hugh Hefner, Khomeini, Gerry Adams, Rupert Murdoch, Yasser Arafat. Una volta, a Bagdad, Di Stefano ha anche stretto la mano di un certo Osama Bin Laden, ricevendone peraltro un’ottima impressione:
Ho trovato che avesse la stretta di un prete. Molto… soffice. Un effetto calmante. Quasi come uno psichiatra, in qualche modo. E la sua profonda conoscenza delle belle arti: ti ci sentivi a tuo agio. E aveva un meraviglioso sorriso, un naso aquilino che mi ha ricordato Dante.
Per quanto sia piccola la frazione di verità nelle sue parole e nei suoi aneddoti, non si può comunque negare che Di Stefano ha fatto molta strada, e che aveva totalmente sbagliato le proprie valutazioni il preside che scrisse di lui, novenne, che “non avrebbe combinato nulla nella vita” (pagella che peraltro giunse a casa Di Stefano opportunamente corretta: “farà qualcosa nella vita”). Bisogna anche dire che quel preside, ex prigioniero di guerra dei giapponesi, odiava gli italiani in generale. Lo ricorda bene l’avvocato: “Lo avevano appeso per i pollici, perciò aveva questi pollici rivoltati, ma cosa c’entrasse con questo un bambino di otto anni, davvero non lo so. Merda, non ero neanche nato”.
Giovanni Di Stefano, inoltre, è anche produttore musicale, manager sportivo, uomo politico3; ed è soprattutto la mente geniale, benché forse non candida e innocente, che dopo l’arresto di lunedì scorso si è paragonato a Julian Assange; colui che vede una persecuzione politica dietro il mandato di cattura emesso da Londra e che vuol rispondere chiamando sul banco dei testimoni, se e quando si celebrerà il processo, Anthony Charles Lynton “Tony” Blair, da lui recentemente denunciato per crimini di guerra e violazione della Convenzione di Ginevra.
In breve, Giovanni Di Stefano, meglio noto all’opinione pubblica anglosassone come l’Avvocato del Diavolo, è un personaggio letterario, prima ancora che un presunto criminale. Dev’essere chiaro, perciò, che è molto difficile condannare la letteratura, o accusarla di malversazione e appropriazione indebita; per meglio dire, è possibile farlo, ma è certo che da un processo simile non scaturirà altro che un’altra vicenda assurda, surreale, patetica, vile e grandiosa: in una parola, un romanzo, la cui redazione non si può che attendere con curiosità.
Nel frattempo, resta il dubbio se ad attaccare periodicamente l’emigrante di successo e a provare a ricondurlo al proprio posto nella società sia l’invidia, la giustizia, il fato, la decenza; o se non sia piuttosto un singolare miscuglio di tutto questo, immaginato e realizzato con maestria da un narratore onnisciente e invisibile.
#1
Cani Pazzi Per L’Avvocato Del Diavolo - La Privata Repubblica
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