Una Storia Di Austerità
(Foto: The Big Picture)
La parola che definirà il 2012 è principalmente una: austerità. La crisi azzanna le economie, il corpo della società è malato, la recessione incombente: l’unica soluzione è ingurgitare il pesante cocktail di tagli alla spesa pubblica, aumenti di tasse, esuberi, licenziamenti di massa e benzina a prezzi greci. Certo, i sacrifici – assicurano alteri e sobri i nostri politici/governanti – saranno durissimi. Ma alla fine la crescita sboccerà di nuovo, e la prosperità, dopo il carpet-bombing di misure di austerità, tornerà a scoccare e risuonare impetuosa in tutti i cieli d’Europa.
Giusto? Non proprio. Se si guarda alla storia dei programmi di austerità degli ultimi 90 anni si nota esattamente l’inverso: svolte autoritarie, feroci scontri di piazza, tensione sociale, massacri, colpi di stato, rovesciamenti di governi e l’ascesa di regimi dittatoriali. Il paper “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010” scritto da Jacopo Ponticelli e Hans-Joachim Voth1 rileva in maniera scientifica la correlazione tra austerità e instabilità politica e sociale.
In “Austerity and Anarchy” i due studiosi individuano cinque diversi tipi di instabilità (manifestazioni contro il governo, riots, assassinii, scioperi generali e tentativi di rivoluzione) in Europa nel periodo 1919-2009. Gli indicatori sono assommati e aggregati in una variabile chiamata CHAOS. Nella prima immagine, come si vede, gli anni antecedenti/successivi alla seconda guerra mondiale, gli anni ’70 e la fine anni ’80/inizio anni ’90 sono estremamente turbolenti.
(Grafico #1: Numero di incidenti in Europa, 1919-2009. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010”)
Nella seconda immagine le barre indicano il numero di incidenti per anno e Paese. Più la barra diventa scura, più i tagli alla spesa pubblica sono massicci. Una volta che i tagli raggiungono il 2% del PIL, l’instabilità aumenta esponenzialmente. Quando i tagli arrivano al 5% del PIL vuol dire una cosa soltanto: Grecia odierna – e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
(Grafico #2: Disordini e tagli al budget. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010”)
Il programma di austerità più catastrofico della Storia è sicuramente quello della Repubblica di Weimar, portato avanti nel pieno della Grande Depressione (tra il 1930 e il 1932) dal “cancelliere della fame” Heinrich Brüning. Dopo aver appreso i fondamenti dell’austerity durante il dottorato alla London School of Economics, il cancelliere era fortemente supportato nel suo piano dai big dell’industria tedesca. Ma dopo due anni di austerità la situazione era degenerata: Brüning sospese di fatto la democrazia parlamentare e governò a colpi di decreti emergenziali; la disoccupazione raddoppiò dal 15% del 1930 al 30% del 1932; la miseria dilagò; le proteste si fecero sempre più violente; e le milizie paramilitari e i nazisti acquisirono un potere sconfinato. Brüning fu infine costretto a dimettersi, e nel 1933 salì al potere un certo Adolf Hitler.
Un altro interessante caso di studio sull’efficacia dei programmi di austerità è la Lituania dei primi anni ’90. L’URSS era appena collassata e la piccola repubblica sovietica cercava di sganciarsi definitivamente dall’orbita del Cremlino, anche e soprattutto sul versante economico. Per fare ciò, il governo lituano si rivolse all’economista Larry Summers (ex Segretario del Tesoro sotto Clinton ed ex presidente del National Economic Council sotto Obama), che prescrisse la solita medicina dell’austerità per la transizione dall’economia pianificata al libero mercato. I risultati? Disoccupazione alle stelle, corruzione galoppante, una popolazione che addirittura rimette al potere i comunisti (nel 1992, appena due anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Russia) ed il più alto tasso di suicidi del mondo. Nel 1990, infatti, in Lituania il tasso era fermo a 26.1 persone su 100.000; dopo appena cinque anni era schizzato a 45.6 su 100.0002.
(Grafico #3: Suicidi in Lituania, 1986-1996. Fonte: Haghighat, “Psychiatry in Lithuania: the highest rate of suicide in the world” in “The Psychiatrist”)
Nel 1997 lo psichiatra Rahman Haghighat analizzava così la situazione lituana sulla rivista specializzata “The Psychiatrist”:
L’elevato tasso dei suicidi può essere collegato alla disillusione della Nazione, che dopo l’indipendenza rimane pessimista e timorosa nei riguardi del suo futuro. Sotto il regime sovietico chiunque aveva un “lavoro” […]. Con l’arrivo dell’economia di mercato, in cinque anni il 35% della popolazione è entrato nella disoccupazione. In una società patriarcale come quella lituana, dove ci si aspetta che sia l’uomo a portare a casa il pane, la perdita del lavoro causa isolamento, crollo di autostima, depressione e alcolismo. […] Per una nazione abituata all’economia collettivizzata, lo stress di diventare improvvisamente autosufficienti – in un economia di mercato copiata dalle individualiste società occidentali – è enorme.
I programmi di austerità non sono stati sperimentati solo in Europa. Nel paper “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”, Hans-Joachim Voth analizza la corrispondenza tra le misure di austerità e l’instabilità politico-sociale in undici stati sudamericani nel periodo 1937-1995. Il risultato della ricerca, scrive Voth, “mostra una chiara e positiva correlazione tra austerità e instabilità”.
Il caso più eclatante del fallimento dell’austerity è quello venezuelano. Nel febbraio 1989 Carlos Andres Perez venne eletto presidente del Venezuela promettendo di combattere il piano di austerità che il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale volevano somministrare al suo paese. Ad appena tre settimane dall’elezione, però, Perez tradì le promesse e impose quegli stessi programmi a cui si era pubblicamente opposto. Le proteste furono massicce, la repressione cruenta: dopo aver dichiarato la legge marziale e sospeso la Costituzione, i reparti speciali della polizia trucidarono a Caracas circa tremila persone (i venezuelani chiamano il massacro “Caracazo”). In definitiva, il programma di austerity venezuelano aumentò esponenzialmente la povertà, fece esplodere la corruzione, rese incredibilmente ricco il solito ristretto club di oligarchi e nel 1992 portò ad un fallito tentativo di golpe da parte di Hugo Chavez. Perez, accusato di peculato e malversazione, venne destituito nel 1993 dalla Corte Suprema del Venezuela e fuggì a Miami, dove è morto il 25 dicembre del 2010.
(Grafico #4: Rivolte e Assassinii in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”)
(Grafico #5: Rivoluzioni e Manifestazioni in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”)
L’idea della “naturalizzazione de-politicizzata”3 della crisi sembra essere irrimediabilmente passata. Se vogliamo tornare a crescere, in parole povere, dobbiamo ingoiare l’amara pillola, rinunciare alle nostre pensioni, accettare di buon grado i tagli agli stipendi, accogliere con spirito di sacrificio lo smantellamento dello Stato sociale, chiudere un occhio sulle chiusure delle fabbriche, delle aziende e credere ciecamente nei vari pacchetti Salva-Qualcosa e Cresci-Qualcosa.
Il punto è che le misure di austerità non sono, come propugnano certi economisti e policy makers, l’unica & imprescindibile soluzione per imboccare nuovamente la retta via fiscale. La storia recente è lì a dimostrarlo: l’austerità non ha fatto altro che deprimere l’economia dei paesi che l’hanno adottata e ha risucchiato le società in una spirale di caos e disordine. “Ad eccezione della Germania, tutti i governi europei si stanno facendo in quattro per dimostrare ai mercati che non esiteranno a fare quello che è necessario – ha dichiarato tre giorni fa al New York Times Charles Wyplosz (professore di economia al Graduate Institute di Ginevra), riferendosi ai pacchetti di austerity approvati in questi ultimi mesi – Con questo tipo di politica stiamo andando dritti contro un muro. È follia pura”.
Quando si dice che l’alternativa all’austerità semplicemente non esiste, è una menzogna. Le misure di austerity sono una precisa scelta politica. Non è qualcosa che piove dall’alto. E non è nemmeno una catastrofe inevitabile come un terremoto, uno tsunami o un libro di Fabio Volo. Piuttosto, è la consapevole decisione di sfracellarsi contro un muro con una macchina senza l’airbag di serie.
- Quest’ultimo è anche l’autore del paper “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”, su cui tornerò più avanti. [↩]
- Un aumento esponenziale di suicidi si sta verificando anche in Grecia, come riporta il Guardian. E anche da noi – vedi Veneto – i suicidi riempiono le cronache quotidiane. [↩]
- La definizione è di Slavoj Žižek. [↩]
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Drop the Hate / Commenti (8)
#4
Rijak
Articolo molto valido, anche se non concordo tanto con le conclusioni.
IMHO l’austerità è invece propio calata dall’alto, imposta da chi i soldi li rivuole indietro. Purtroppo una crisi del debito impone l’impoverimento più o meno generalizzato della popolazione, e qui si può decidere più o meno dove trovare i soldi (in realtà nel breve periodo i soldi li si vanno a prendere dove è facile farlo come abbiamo visto).
Credo funzioni bene il paragone del cittadino/società insolvente che fallendo (escludendo la bancarotta fraudolenta) si impoverisce dovendo tagliare ogni spesa e privarsi dei propri beni (se non vuole rivolgersi a strozzini per temporaggiare), e facendo incazzare i propri dipendenti rimasti a casa nel caso ne abbia. Così lo stato cercherà di salvarsi il culo tagliando, vendendo patrimonio pubblico, tassando e cercando di cambiare il proprio stile di vita (vedi liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro, cose potenzialmente anche buone ma che non credo siano la cura, quanto piuttosto la struttura di quello stato che uscirà dalla crisi).
In un certo senso l’austerità chiude il ciclo del debito, e quindi è la soluzione. Quella finale.
Comunque complimenti per la buona informazione che ci offri!
#5
E, in fondo al tunnel dell’austerità neoliberista, già si scorge la nostra sorte… « Verso un Mondo Nuovo
[…] A questo proposito, riporto una fantastica analisi di Blicero: […]
#6
E, in fondo al tunnel dell’austerità neoliberista, già si scorge la nostra sorte…fascismo o rivoluzione | Informare per Resistere
[…] Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010” scritto da Jacopo Ponticelli e Hans-Joachim Voth1 rileva in maniera scientifica la correlazione tra austerità e instabilità politica e […]
#8
pravettoni
capisco il punto di vista, ma se non vuoi l’ “austerita’” allora devi convivere con il predominio della finanza sulla sfera pubblica. E’ la solita storia della botte piena e la moglie ubriaca.
#1
rodo
:*