La Notte Che Spensero Syntagma
ATENE – Il suo nome potrebbe essere Slobo. O Darko. O Radovan.
Il serbo di piazza Syntagma non ha mai sentito parlare di prestiti del FMI, rating di Standard & Poor’s, né tantomeno di misure di austerity. Oppure forse ne ha sentito parlare, ma a lui non interessa minimamente: la sua unica attività quotidiana consiste nel raccogliere quanti più rifiuti possibile nei dintorni della piazza, accatastarli fuori dalla sua tenda, cercare dentro i sacchetti bottiglie di vetro e di plastica ed infine rendere i vuoti per qualche centesimo – una sorta di versione europea/underclass del vecchio Stillman di Città di vetro di Paul Auster. Nessuno sa precisamente quando è arrivato ad Atene, e nessuno sa se e fino a quando resterà. Ma da ieri notte (30 luglio, nda) “Slobo” non abita più a Syntagma, la piazza davanti al Parlamento che è stata occupata dai manifestanti per gli ultimi due mesi e mezzo.
È da due giorni che il nervosismo e la tensione tra gli indignados greci serpeggiano a livelli paranoici. Si mormora di sgomberi della polizia, ordini del questore, decreti della magistratura. Le voci si rincorrono, le conferenze stampa sono fumose, le notizie non verificabili. Vérane, una traduttrice di origini francesi energica e combattiva, è particolarmente infuriata con quelli che lei chiama i “rivoluzionari à la carte“, ovvero i manifestanti e gli anarchici che hanno votato a fine giugno di rimanere in piazza ad oltranza, salvo poi andare in vacanza sulle isole. “Non fanno altro che masturbazione intellettuale”, mi dice mimando l’apposito gesto. “Vengono in piazza, fanno la loro piccola rivoluzione e si mettono la coscienza a posto. Se perdiamo la piazza ora, sarà difficile riconquistarla”.
In effetti, nella platia sono rimaste veramente poche persone. Nelle tende ormai sono accampati alla rinfusa (e c’è chi dice che sia stata la polizia a farli convergere lì) senzatetto, disoccupati, tossicodipendenti e varia umanità Lumpen, ossia i soggetti che della crisi sono le prime vittime, ma che delle rivendicazioni del movimento non si interessano minimamente – una circostanza cavalcata da almeno una settimana dagli organi di stampa filo-governativi. Il problema è candidamente riconosciuto dagli stessi manifestanti, che peró non se la sentono di cacciare queste persone, per quanto problematiche, da uno spazio pubblico così simbolico. “Non possiamo comportarci come la polizia”, ripete sconsolata una manifestante.
Verso le 11 di sera del 29 luglio il sindaco di Atene, Giorgios Kaminis, annuncia che l’evacuazione della piazza avverrà tra le 2 e le 3 di notte. L’assemblea prende immediatamente una piega nevrotica e convulsa, accompagnata da un generalizzato senso di disillusione e incombente disfatta. C’è chi propone di restare, chi dice di andarsene via dalla piazza lasciando un cartello con il disegno di un uccellino che esce da una gabbia e la promessa “Ci rivediamo a settembre”, chi denuncia la presenza di poliziotti in borghese, “il cui odore si riconosce a chilometri di distanza”, chi ancora suggerisce di smontare le tende e di riunirsi su base settimanale, chi di continuare le assemblee, ma senza le tende. Il volume della voce aumenta progressivamente, le opinioni si radicalizzano sempre di più, si arriva quasi allo scontro fisico, le votazioni scivolano nella schizofrenia. Ad un certo punto viene addirittura costituito un sottogruppo nell’assemblea pubblica, il “gruppo dei campeggiatori”, che ovviamente vota per restare nella piazza. Quando arriva l’ora fatidica, della polizia non c’è alcun segno. “No, non viene neanche oggi la polizia. Ci minacciano e basta”, afferma un manifestante.
Ma la minaccia diventa concreta intorno alle quattro di notte. I furgoni del MAT (il reparto speciale per l’ordine pubblico della polizia greca) circondano Syntagma, e da essi fuoriescono una settantina di poliziotti in tenuta antisommossa, seguiti dalle camionette della nettezza urbana. L’ordine viene direttamente dal procuratore generale di Atene, Eleni Raikou. Il primo manifesto ad essere strappato è quello che recita “democrazia diretta”. I poliziotti e i netturbini smantellano velocemente le tende, strappando cavi e sfondando a calci tavoli e divisori di legno. Alcuni manifestanti gridano “Fascisti! Fascisti!”, “È una vergogna!”, “Siete come la junta!”, “Fottuti gorilla!” Un ragazzo si avvicina ad un poliziotto del MAT e provocatoriamente gli chiede: “Se ti piscio addosso mi sbatti in galera?” Una donna porta via dalla tenda del Media Center un monitor con su scritto “Error 404: Democracy not found“, mentre altri arrotolano tristemente gli striscioni e cercano di salvare il materiale rimasto intatto, tra cui le medicine dall’infermeria.
In generale, non viene opposta alcuna significativa resistenza. Un manifestante di nome Yannis mi si avvicina e, allargando le braccia, parla in francese: “Questa è, com’è che si dice?, questa è dittatura travestita da democrazia. Per due settimane i giornali e i media hanno fatto propaganda e adesso guarda lì – indicandomi il cordone dei MAT a presidio della piazza ormai “liberata” – ecco com’è la realtà! La polizia viene qui alle 5 del mattino, come se avessimo fatto qualcosa di indicibile, di segreto. Questo è un colpo di Stato! E la Grecia sarebbe un paese dell’Unione Europea?”
Mentre la piazza viene spazzata e ripulita con getti d’acqua, Erasmo, un traduttore cinquantenne di Cefalea che ha vissuto molti anni in Italia, compie a caldo una lucida analisi: “Semplicemente mi hanno tolto il problema di questa struttura che non si riesce più a gestire perchè non c’era più la gente. Mollarla era vista come una sconfitta, mi hanno tolto questa preoccupazione. A settembre qui comunque ci sará un bordello, indipendentemente dal fatto che ci sia o non ci sia l’assemblea generale di piazza Syntagma”. Una ragazza strotola una bandiera della Grecia avviluppata ad un lampione, e l’alba illumina flebilmente quello che rimane di due mesi e mezzo di protesta: tredici fermi, otto arresti, un movimento che stenta a ritrovare la forza e la compatezza degli inizi, qualche tenda divelta per terra, cassette di plastica e turisti usciti dalla metro che timorosi accelerano il passo trascinandosi dietro i loro trolley.
L’assemblea è comunque convocata per sabato 30 luglio, alle 19, e continuerà per tutto agosto, ma sempre con numeri estremamente ridotti rispetto a maggio e giugno. Ormai sembra che anche la democrazia, come i suoi rivoluzionari à la carte, si stia preparando per andare in vacanza e spendere i suoi ultimi risparmi, in attesa della “dose” dei prestiti dell’ Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale. Tutti quanti rimandati a settembre. Di “Slobo”, intanto, si è persa ogni traccia.
(Foto © 2011 Alessandro Rampazzo/LUZ Photo)
#1
Charles Benson
“La democrazia si prepara a spendere i suoi ultimi risparmi”
Suona proprio sinistra questa frase,
sopratutto per chi ha creduto nella democrazia:
non per me, che non ho commesso questo errore.
La gente dovrebbe chiedersi cosa nascondono queste parole,
cosa verrà dopo che i risparmi saranno finiti,
ma non lo fa, non abbastanza in ogni caso:
si meriterà dunque le botte che di fisso riceverà ?
Sì, probabilmente.
Con queste premesse,
se non altro non sarà un autunno noioso.
La cosa divertente è che hanno pestato e spazzato via
questi poveracci ad Atene,
ma si è appena incominciato a fare cose più hardcore
a Londra.
E’ dura tappare il legno della stiva
in una nave che affonda,
dove la distinzione fra i topi che lasciano
e le persone che restano è ormai oscura.