La Battaglia Di Cortina
2. Blackout
Le torce guizzavano nell’oscurità di Corso Italia. L’esercito di turisti in stivaletti griffati e mantelli di leopardo batteva la via dello struscio alla ricerca spasmodica di merci da comprare a prezzi folli e costosissimi drink da ingurgitare. Ma tutti i negozi erano chiusi. L’unico aperto era la Cooperativa, che si alimentava con un imponente generatore elettrico ed era diventata – molto più di quello che già era – la cattedrale dei beni di consumo, il rifugio di turisti infreddoliti e il paradiso dei consumatori compulsivi. Dal momento che gli appartamenti affittati a peso d’oro erano praticamente inutilizzabili, un nutrito gruppo di romani si era accampato dentro il centro commerciale in pianta stabile e dormiva avvolto nelle buste di tela gialla con la margheritona stilizzata. La direzione tollerava a stento, ma non aveva alternative.
Il blackout durava ininterrottamente da tre giorni, e il braccio di ferro tra Comune e società elettrica pareva non aver fine. Nessuno sapeva quando la luce sarebbe tornata a Cortina. Neve e burocrazia avevano momentaneamente sospeso l’abituale ordine sociale della «perla delle Dolomiti». Ma per ora andava bene così. Mezza Italia rideva delle disavventure dei “ricchi”; quest’ultimi, inaspettatamente, erano eccitati dalla prospettiva di vivere un’esperienza diversa dal solito. I social network erano gremiti di «avventure di sopravvivenza» e foto di caminetti. Gli unici a mostrare segni d’insofferenza erano le poche migliaia di residenti locali.
Il Montanaro si sistemò la bandana sui capelli selvaggi e fece un giro di perlustrazione nelle vie semi-deserte della città. Era in maniche corte e si riscaldava unicamente con bottiglioni di vino rosso. Dalle finestre delle villette proveniva la luce tremola delle candele. Le signorotte passavano alle colf straniere casse di derrate alimentari e residui del cenone natalizio da seppellire sotto la neve per tenerli al fresco. Qualche passante riconobbe il Montanaro, facendogli i complimenti per i suoi libri – indigeribili romanzetti pseudobucolici che da anni erano sempre gli stessi e, probabilmente proprio per questo, rimanevano saldamente in testa alle classifiche. Il Montanaro rispondeva ruttando, sputando per terra e allontanando i supporter con eloquenti gestacci. Non era venuto qui per ricevere plausi – non questa volta, almeno.
Era piombato in città non appena aveva saputo del blackout. Si era installato presso la casa di un suo amico, un vecchio residente disgustato dalla deriva kitsch-turboliberista in cui era piombato il suo borgo natio da trent’anni a questa parte. In quelle lunghe notti intorno al focolare, l’amico del Montanaro si era esibito in furiose tirate contro i «calabresi», i «terroni arricchiti del cazzo» e i «cafoni romani» che avevano deturpato l’immagine della città. «La definitiva mutazione c’è stata quando dalle Ferrari Testarossa ho visto uscire uno stuolo di puttane in Moon Boot di pelo e gioielli d’oro, che esibivano sfacciatamente anche di pomeriggio. Lasciamo perdere il fatto che nessuno di questi animali sapesse sciare. Lasciamo perdere. Lo sfregio assoluto è stato vederli indossare il nostro tipico costume ampezzano, il dirndl. Non dovevano farlo, i bastardi. Ah! Ma la pagheranno cara prima o poi. Carissima».
Mentre ascoltava le lamentele sempre più livide e rabbiose, il Montanaro aveva cominciato a maturare dentro di sé una sublime ossessione: quella di guidare la rivolta degli autoctoni contro i turisti. Voleva riportare Cortina nell’era pre-Vacanze di Natale 1983. Voleva sfasciare i suv dei cumenda, ridurre in polvere la paccottiglia esposta nelle vetrine, riaccendere la bellezza abbagliante della città, ridare dignità alle Dolomiti e restaurare quell’inimitabile connubio di raffinatezza, aristocrazia e sobrietà montanara. La Natura aveva preparato la resa dei conti; il blackout aveva dissodato il terreno del risentimento; ora serviva qualcuno pronto a incendiare la miccia della rivolta.
Il Montanaro si fermò in Corso Italia, in mezzo alla folla e alle torce. Diede una poderosa sorsata al vinaccio e se lo versò addosso, inondando i capelli e il petto villoso. Il freddo non esisteva. Fissò i turisti, bestemmiò fragorosamente e infine lanciò la bottiglia vuota contro una Jaguar abbandonata sulla via. Il rumore dei cocci fu sovrastato da quello dell’allarme antifurto. I turisti, spaventati da quella ferina esplosione di violenza, scapparono come vermi, strisciando e scivolando sui marciapiedi ghiacciati.
Lo scrittore pensò che senza luce elettrica e senza riscaldamento si sarebbero cominciati a calcolare la velocità, la densità del buio e la profondità dell’ignoto. La montagna avrebbe creato qualcosa di più grande e di veramente più profondo. La popolazione local era con il Montanaro: finalmente le parole e il sangue sarebbero tornate a scorrere.
I turisti finora si erano divertiti, ma le cose sarebbero cambiate molto presto. Loro non sapevano accendersi un fuoco, non sapevano cavarsela in condizioni proibitive e non erano per nulla autosufficienti. La loro resistenza sarebbe stata fiaccata molto presto. Queste notti nere e gelide erano l’occasione perfetta, quella che il Montanaro aspettava da una vita. L’occasione di creare enclavi incontaminate, isole di salvamento, riserve etniche depurate dalle incrostazioni del consumismo e dello spettacolo. Le sue parole d’ordine: Dostoevskij e decrescita felice. Autarchia e Tradizione. Apocalisse e Cabernet.
Sì, tutto era pronto, tutto era apparecchiato: il ventre caldo e autentico della città era pronto per la Resa Dei Conti, smanioso di accogliere la Fine Dei Tempi.
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Drop the Hate / Commenti (5)
#3
TabSkywalker
Minkia Blicero, sembri i miglior Ammaniti e Pahlaniuk di sempre.
Cannibale abbbestia
#1
spl33n
chiudi quel cazzo di mac e vieni alla capannina, sfigato
http://www.youtube.com/watch?v=L-AZRzrvvd4