Kolovrat Nation
III
Rossija 88.
Siamo nella notte tra il 3 il 4 ottobre del 2009, alla vigilia del Giorno dell’unità nazionale. Nikita Tichonov, co-fondatore di “Immagine russa” (Russkij Obraz), sta per uscire dal suo appartamento quando il campanello si mette a suonare. È di fretta, e senza pensarci troppo apre la porta. Sul pianerottolo ci sono gli agenti del reparto “È”1. Tichonov fruga freneticamente sotto l’ascella e cerca di estrarre la pistola, ma i poliziotti lo immobilizzano. Nell’appartamento c’è anche la sua compagna, Evgenija Chasis, un’attivista di “Verdetto russo”, associazione legata a “Immagine russa” che fornisce supporto giuridico ai neonazisti. La perquisizione dell’appartamento dura dieci ore. Viene rinvenuto un arsenale, tra cui la pistola che ha freddato l’avvocato antifascista Stanislav Markelov e la giornalista della Novaja Gazeta Anastasija Baburova, assassinati il 19 gennaio 2009 in pieno centro a Mosca. E non ci sono solo armi: la polizia trova anche passaporti falsi fabbricati a regola d’arte. Tichonov e Chasis vengono immediatamente arrestati. Durante l’interrogatorio il primo confessa: sì, ho ucciso io Markelov e Baburova, e ho rivendicato l’omicidio con la sigla BORN (“Organizzazione combattente dei nazionalisti russi”, Boevaja Organizacija Russkich Nacionalistov).
Tichonov non è il classico naziskin rasato con anfibi e bomber – una figura minore che ormai appartiene all’era El’cin. È un militante estremamente preparato e metodico, che ha studiato criminologia e si è informato attentamente sulle tecniche usate dalla Setta degli Assassini e da Narodnaja Volja (un gruppo rivoluzionario-terroristico russo attivo nel XIX secolo, responsabile dell’uccisione dello zar Alessandro II). Per qualche anno, inoltre, Tichonov è stato sospettato dell’omicidio dell’antifascista Rjuchin. Insomma, Tichonov è il perfetto prototipo del terrorista neonazista russo degli anni Duemila: giovane, di studi umanistici, fisicamente preparato, spietato e deciso a sbarazzarsi dei “veri” nemici dello Stato – ossia antifascisti, giornalisti, attivisti per i diritti umani, poliziotti, magistrati e chiunque ostacoli la creazione della “vera Russia”.
Durante gli anni di Putin l’estremismo di destra si sviluppa su due fronti. Il primo è quello legale o para-legale: nascono infatti una serie di movimenti nazionalisti, xenofobi e ultraortodossi – tra cui i più importanti sono il già citato DPNI, “Immagine russa” e “Unione Slava” (Slavjanskij Sojuz, sigla SS; come simbolo ha una svastica camuffata) – che fluttuano tra legalità e illegalità e organizzano ogni anno le famigerate “Marce russe”, manifestazioni che in teoria sarebbero proibite. Il secondo fronte, invece, è apertamente clandestino e terrorista. Nel dicembre del 2009 in diversi siti web fa la sua apparizione un documento chiamato “Strategia 2020”. In esso si legge:
Abbiamo superato da tempo la subcultura degli skinheads. Il lavoro rivoluzionario è l’eliminazione di chi realmente ci danneggia: la gente schifosa in uniforme e in borghese che sta al potere. […] Oggi la nostra scelta non è la quantità di combattenti, ma la loro qualità. Il tempo dei pogrom è passato da un pezzo, è giunto il tempo di colpi precisi ad obbiettivi importanti. Il futuro è dei rivoluzionari di professione, dei combattenti di professione”.
Nello stesso documento si raccomanda anche di strutturarsi in cellule clandestine di 2-3 persone, più adatte a commettere omicidi e colpire con attentati incendiari e dinamitardi sia le strutture del potere che le attività commerciali dei Gastarbeiter. Gruppi e movimenti come “Combat 18”, “Brigata Unita 88”, “Società Nazional-Socialista del Nord” e altri si muovono esattamente in questa direzione. E dalla metà degli anni Duemila fiumi di sangue scorrono nelle città russe. Nel 2008 la violenza fascista uccide più di 120 persone. Nel 2009 i morti sono 84 e i feriti 434. Nel 2010, a seguito della decisa opera di repressione poliziesca, c’è una leggera flessione: 38 morti e 377 feriti2. Molti i “cadaveri eccellenti”: oltre a Markelov e Baburova, vengono uccisi gli antifascisti Fëdor Filatov, Il’ja Džaparidze (entrambi nel 2008) e Ivan Chutorskoj (17 novembre 2009). Il 12 aprile 2010 il magistrato Èduard Čuvašov – che in passato era stato il presidente del collegio giudicante nel processo contro la banda neonazista denominata “Lupi Bianchi” – viene crivellato di colpi d’arma da fuoco davanti alla sua abitazione.
I procedimenti intentati contro la “Società Nazional-Socialista del Nord” (accusata di aver compiuto almeno 27 omicidi) e Tichonov-Chasis evidenziano una capacità organizzata di altissimo livello e una crudeltà operativa da narcos messicani. Alcuni imputati della SNN sono condannati, l’11 giugno 2011, per aver strangolato e decapitato con un coltello un camerata sospettato di essere un informatore della polizia e di aver sottratto 112mila dollari dalle casse della banda.
Durante il processo viene fuori che il leader della SNN, Maksim Bazilev (arrestato nel 2009; nome in codice: “Adolf”), ha sei milioni di dollari depositati sul suo conto bancario. Sergei Stashevsky, avvocato di uno degli imputati, dice al Financial Times che la provenienza di quei soldi è un mistero. “Queste non erano persone normali. Non erano assolutamente in grado di compiere affari, erano buoni solo a picchiare e uccidere poveri immigrati. […] Perché avevano una tale somma di denaro? […] Chi li stava pagando? E per cosa?” Non si saprà mai. Il 27 marzo 2009 Bazilev viene trovato nella sua cella con i polsi tagliati. Nulla di cui sorprendersi, beninteso: nelle carceri russe il suicidio è una triste consuetudine. Ma Bazilev non era rinchiuso in un carcere qualsiasi. Era in via Petrovka 38, sede della Polizia Criminale moscovita. Un posto dove nulla accade per caso.
Nel dibattimento Tichonov-Chasis, invece, emerge che il movimento pro Cremlino Mestnye aveva ripetutamente cercato di reclutare naziskin nella capitale e che uno dei suoi responsabili, Leonid Simunin, si era rivolto all’imputato principale per procurarsi armi da fuoco. A riferire questi collegamenti è Il’ja Gorjačëv, testimone dell’accusa nonché coordinatore di “Immagine Russa”, poi costretto a scappare in Serbia per evitare ritorsioni. Il 6 maggio 2011 Tichonov e Chasis vengono condannati rispettivamente all’ergastolo e a 18 anni di reclusione. Quando la sentenza viene letta, i due ridono.
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Drop the Hate / Commenti (3)
#2
Fede
Con i tuoi articoli scopro sempre qualcosa che primo ignoravo (o quasi).
Ottimo lavoro.
Una domanda: ma tu di Medvedev cosa ne pensi? E’ solo una propaggine di Putin, o conta davvero qualcosa?
#1
Stefano
Eccellente. Agghiacciante.