Kojima, Do It Yourself
Se negli anni ’70 fossi stato giovane, la mia formazione intellettuale probabilmente sarebbe stata plasmata dai filosofi francesi, dal cinema politico italiano, dal punk e dalla rivista Il Male. Ma sono nato, purtroppo e per fortuna, nella seconda metà degli anni ’80 e pertanto devo molto ai videogiochi.
Specialmente ad una serie: Metal Gear Solid di Hideo Kojima, che presenta una delle trame letterarie (sì, letterarie) più complesse, circonvolute e coinvolgenti di sempre. Dalla mente di Kojima irradiano complotti geopolitici, spionaggio, nanomacchine, armi di distruzione di massa, riflessioni sulla società dell’informazione, sulla genetica e molto altro ancora.
Ora, fare un film su queste cose è un’impresa ai limiti della follia. Farlo a costo zero è da trattamento sanitario obbligatorio. Farlo in Italia è un seppuku organizzato, alla Yukio Mishima. Farlo in Veneto è come darsi fuoco in piazza per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla violazione dei diritti umani. Eppure i ragazzi dell’Hive Division (gruppo indipendente di “guerrilla filmmaking” fondato da Giacomo Talamini e composto da una cinquantina di persone in Veneto) sono riusciti a fare tutto questo. Metal Gear Solid: Philanthropy è il primo fan-movie sull’universo sci-fi partorito dal genio nipponico ed è un’operazione estremamente ambiziosa, seppur circoscritta all’ambito (semi) amatoriale.
Nato nel 2002 dopo innumerevoli sessioni di gioco alla Playstation, il progetto in un primo momento si arena per difficoltà tecnico-logistiche, salvo poi essere ripreso da un team allargato grazie ad Internet, più competente, risoluto e internazionale (doppiatori, traduttori e un compositore che ha fornito una pregevole colonna sonora). La trama si svolge tra il primo ed il secondo capitolo di MGS e si sviluppa in 64 minuti di azione, sparatorie e computer grafica di buona fattura, considerando il risicatissimo budget. Il protagonista Solid Snake (Talamini, che è anche regista e sceneggiatore), è inviato a Daskasan, zona di confine tra Armenia e Azerbaijan, per recuperare un senatore americano – il cui interprete potrebbe tranquillamente essere scambiato per il salumiere di fiducia di un paese del trevigiano – sequestrato a causa dei suoi intrallazzi.
La sceneggiatura è decisamente verbosa, almeno nei primi 25 minuti, e lascia molte cose in sospeso: ma essendo solo il primo mediometraggio di un’ipotetica trilogia è abbastanza giustificabile. Per come è strutturato il film, tuttavia, la sensazione di trovarsi di fronte ad un prodotto fatto da-nerd-per-nerd è innegabilmente forte, e questo potrebbe comportare un’ulteriore ghettizzazione del bacino d’utenza. E qui arriviamo al punto: Philanthropy è un progetto interessante più per la sua realizzazione che per il risultato effettivo. Riuscire a imprimere un’ora su pellicola con lo stesso budget con cui Martinelli riprende Bossi travestito da nobile milanese medievale è infatti una speranza non solo per la pressoché inesistente scena sci-fi italiana ed il circuito indipendente, ma per tutto il cinema nostrano.
Del resto, girare per 24 ore 50 scene in un ex zuccherificio prossimo alla demolizione denota una passione genuina e viscerale per il mezzo – una passione che il cinema italiano sembra aver smarrito in chissà quale piega degli ultimi decenni.
(Pubblicato su Nocturno)
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Drop the Hate / Commenti (3)
#2
ivo
ma si, e che cazzo – e’ cosi’ raro vedere italiani con spirito di iniziativa che non includa affiliazioni a mafie e/o organizzazioni occulte – diamogli almeno una chance: io lascerei il torrent in seeding perpetuo per almeno un paio di settimane, anche se comunque stassera me lo voglio veder tutto, e se e’ una cagata pazzesca lo tolgo – ben venga l’iniziativa, ma arginare lo sputtanamento del paese e’ un dovere prioritario.
PS al redattore: son del ’68 e son cresciuto a pane e VG pure io – ti ricordo che breakout e’ sbarcato in italia nel ’78 e io c’ero.
#3
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#1
Marko Ramius
Comunque da vedere direi.