Coup On Canvas
Allora: erano settimane che non riuscivo a dormire se non vedevo À l’intérieur almeno due volte di fila, a notte fonda. Non chiedetemi perchè, era così e basta – e dire che questa nouvelle vague dell’horror francese non mi ha mai convinto del tutto. E non ha mai convinto nemmeno il mio nuovo compagno, C. B., un commercialista laureando in giurisprudenza che da un po’ di tempo a questa parte vive con me, di sua spontanea volontà, incatenato al termosifone, la bocca rammendata con l’ago e le ultime due rate del mutuo trentennale ormai scadute.
Poi è cambiato tutto quando c’è stato il golpe in Honduras. Sapete, ormai non ci speravo più nei colpi di stato: sanno troppo di Guerra Fredda, figurarsi poi dopo Fukuyama e i neocon1. Ma la variabile umana è sempre imprevedibile, specialmente in un paese sudamericano poverissimo, corrotto, sferzato dai caudillos, depredato da oligarchie al soldo di multinazionali senza scrupoli e dominato da un avido apparato politico-impreditoriale-militare. In fondo, ero contento. Avevo recuperato il sonno perduto e dovevo festeggiare.
Ho subito ripreso in mano un vecchio libro del 1969 di Edward Luttwak, “Strategia del colpo di Stato“, ho riscaldato la biro e ho inciso sulla schiena del mio nuovo amico una delle frasi più riuscite del manualetto:
Il colpo di Stato non deve essere necessariamente assistito dall’intervento delle masse né, in grado significativo, dalla forza di tipo militare. […] Se un colpo di Stato non fa uso delle masse e delle forze armate, quale strumento di potere si userà per prendere il controllo dello Stato? La risposta, in breve, è la seguente: il potere verrà dallo Stato stesso.
E questo è esattamente quello che è successo in Honduras, nel 2009.
Suonala ancora, Mel
È l’alba del 28 giugno a Tegucigalpa. Un gruppo di soldati incappucciati irrompe nella residenza di Manuel “Mel” Zelaya, esponente del Partido Liberal e Presidente dell’Honduras, lo arresta e lo carica di forza su un aereo alla volta di San Josè, Costa Rica. Nell’arco di poche ore la televisione pubblica viene silenziata, l’elettricità e i servizi della capitale tagliati e i carri armati mandati per le strade. L’esercito parla di “esilio” di un politico nocivo per il paese, à la Chavez – se non peggio. Ma in realtà il copione è quello del colpo di stato in salsa sudamericana: sceneggiato, girato e trasmesso innumerevoli altre volte.
La storia recente dell’Honduras, infatti, è segnata da un tasso di omicidi spaventoso, dal narcotraffico e dai golpe. Nel 1963 il colonnello Oswaldo Lopez Arellano rovesciò il presidente eletto Ramón Villeda Morales e lo spedì, guarda caso, in Costa Rica. Arellano governò il paese fino al 1974. Erano tempi di guerra sucia, squadroni della morte e trame della CIA. Tempi meravigliosi scanditi da una serie mozzafiato di avvicendamenti militari al potere. Quando Lopez Arellano venne accusato di essere un burattino nelle mani della United Brands (ex United Fruit Company) un altro colonnello, Juan Alberto Melgar Castro, lo destituì. Ma durò poco: appena tre anni. Al suo postò salì una sorta di triumvirato militare dal quale emerse la figura di Policarpo Paz Garcia, che poi divenne il padre costituente dell’Honduras.
Un capolavoro: una costituzione “democratica” scritta da un dittatore. Una costituzione destinata a rimanere scolpita nel tempo, immutabile ed eterna grazie all’articolo 239, che punisce con decorrenza immediata a dieci anni di interdizione dai pubblici uffici chiunque proponga la rieleggibilità del presidente – esattamente quello di cui è stato accusato Zelaya. Ma le colpe di quest’ultimo vanno ricercate altrove: l’allenza con Hugo Chavez, i rapporti con Raul Castro, l’ingresso dell’Honduras nell’ALBA2 e una serie di riforme che avrebbero dato molto fastidio alle oligarchie reazionarie e conservatrici che manovrano il paese.
Non che Zelaya fosse un fulgido esempio di democrazia, intendiamoci. Era piuttosto un caudillo con tendenze cesaro-papiste e indici di gradimento decisamente bassi. Ma da qui ad imporre il coprifuoco e sparare ad altezza d’uomo sui manifestanti ce ne passa.
Dalla Scuola delle Americhe con furore
Se è vero che al giorno d’oggi i colpi di stato più efficaci non sembrano colpi di stato, in Honduras è stato compiuto il colpo di stato perfetto.
Qui non c’è stato nessun golpe. È stato il tribunale ad ordinare all’esercito di prendere quel mascalzone di Zelaya e portarlo fuori dal paese. Volete vedere le accuse? Ci sono 18 capi d’imputazione3 contro il vostro eroe democratico.
A parlare, con la Costituzione perennemente sottobraccio, è Roberto Micheletti4, ex presidente del Congresso Nazionale ed ora Presidente Provvisorio fino al 27 gennaio 2010, ma che ha già il “sostegno e l’affetto dell’80% degli honduregni”.
E chi può biasimarlo? Il “Gorilla” è effettivamente salito al potere con l’avvallo del potere legislativo, giudiziario ed ecclesiastico – poteri che sono pur sempre esercitati secondo i più collaudati crismi bananistici, ma tant’è.
Dopo la prima settimana di copertura mediatica, il caso Honduras è ovviamente scomparso dall’agenda della stampa che conta. Lasciando a tutti la solita rilassante & rassicurante sensazione: quella di trovarsi di fronte ad un governo fantoccio uscito da un film di Woody Allen, destinato a vita breve, isolato a livello internazionale ed innegabilmente fuori dal tempo.
Come a dire: fare questo genere di cose nel XXI secolo è così demodè. Se Micheletti voleva davvero fare impressione poteva comprarsi tre televisioni, corrompere politici, giudici e testimoni a destra e manca e far approvare una sfilza di leggi ad personam per non finire al fresco. Questo è l’ultimo trend in materia di colpi di stato, per quanto io sia affezionato alla classicità e all’odore di cordite, ai cingoli dei tank e agli squarci sonori causati dagli aerei in perlustrazione sopra i cieli di una capitale assolata.
Tuttavia un po’ di gente è morta (compreso un innocente di 19 anni) e la popolazione, già stremata dalla povertà e dalla violenza endemiche di quelle terre, si ritrova per l’ennesima volta sotto un regime che, a scanso di equivoci, si serve di noti torturatori e squadristi della morte – tipo il “Dottor Arranzola”, al secolo Billy Joia Amendola – e che probabilmente spazzerà via ogni residuo barlume di speranza in un avvenire sufficientemente martoriato dall’assurdità aporistica del presente.
Del resto, le dittature degli altri non hanno mai dato fastidio a nessuno. Anzi. A me sono sempre piaciute, specialmente se fioriscono in paesi dall’incerta collocazione geografica.
- Egemonia benevola, guerra preventiva e altre cose di questo genere – niente a che vedere con il buon vecchio finanziamento di milizie paramilitari per rovesciare governi regolarmente eletti. [↩]
- Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América. [↩]
- C’è da dire che ogni giorno ne vengono aggiunti di nuovi: ora probabilmente siamo arrivati come minimo a 1725, nda. [↩]
- Per chi non avesse seguito i notiziari italiani, incomprensibilmente in bilico tra l’apologia e l’agiografia, il golpista è di origini bergamasche. [↩]
#1
Bruno
Di cesaropapismo si parla qua e sui libri di Juan Linz. E basta. E non è un caso (cit. Balducci)