Cani Pazzi Per L’Avvocato Del Diavolo
Prendete il fantasma di Saddam Hussein, dei membri delle FARC, IRA, Tigri Tamil, e ancora Tareq Aziz, Arkan, Milošević e Muammar Gheddafi; poi metteteli in una stanza molto grande e chiedete loro chi è o chi è stato il loro avvocato. Vi risponderanno tutti con un nome: Giovanni Di Stefano.
Avevamo già parlato tempo fa dell’avvocato anglo-italiano originario di Petrella Tifernina (Campobasso), dietro la cui controversa vita sembra esserci un team di sceneggiatori cresciuti a colpi di Keyser Söze, testi eretici di giurisprudenza e diritto alla difesa portato ai confini più estremi della civiltà giuridica occidentale.
Con clienti del genere (e la lista è parziale), non è difficile immaginarsi un gorilla di 2×2 metri con gli occhiali a specchio e un auricolare collegato a Langley avvicinarsi all’agguerrito 55enne dall’accento cockney e dirgli: “Avvocato Di Stefano? Mi segua, prego”. Noi ovviamente speriamo che non succeda mai una cosa del genere, anche se lo scorso febbraio Di Stefano è stato arrestato in Spagna ed estradato in Inghilterra, dove la giustizia inglese ha aperto un nuovo fascicolo sull’Avvocato del Diavolo per una lunga serie di reati, tra cui l’esercizio abusivo della professione. Lui, tuttavia, dice che il suo caso è politicamente motivato – e può un semplice processo penale scoraggiare uno che è già stato nelle carceri inglesi negli anni ’80 e che, soprattutto, nel 1995 è stato presidente del Campobasso Calcio?
Abbiamo fatto due chiacchiere al telefono con Giovanni Di Stefano per parlare un po’ della situazione in Libia e del vero fondatore dell’Unione Europea.
Anzitutto, come sta il Colonnello Gheddafi? Lo ha sentito di recente?
Il Colonnello Gheddafi e sua figlia [Aisha Gheddafi, l’avvocato di famiglia, nda] sono le uniche due persone da cui prendo istruzioni. La sua posizione è quella che è sempre stata fino ad adesso: non lascerà la Libia. End of story. È il leader del suo paese, lo è stato per molti anni e non intende rinunciare alla sua carica. Naturalmente è molto affranto dalla perdita di suo figlio e di suo nipote, che sono stati assassinati – e non c’è dubbio che si tratti di assassinio – ma Gheddafi è ormai abituato alla morte di familiari e persone a lui vicine. È qualcosa che fa parte della lotta contro un Occidente oppressivo che vuole rubare i suoi soldi e le sue ricchezze. Questa è la posizione.
Come è diventato il suo avvocato? Lo conosce da molto tempo?
Be’, qui bisogna un attimo tornare indietro. Aisha Gheddafi faceva parte del collegio difensivo di Saddam Hussein, in cui c’ero anche io, e abbiamo ricevuto dal Colonnello sostegno sia finanziario che logistico. In particolare, Gheddafi ci ha dato circa 40 computer che abbiamo usato in Iraq e in Giordania, dov’era situata la nostra base operativa. Dopo il caso di Saddam Hussein, mi sono occupato del caso di Abdelbaset Mohmed Al-Megrahi [il libico accusato di aver messo la bomba sul volo 103 precipitato nella cittadina di Lockerbie, in Scozia, nel 1988, nda] nel Regno Unito. All’epoca, Al-Megrahi aveva chiesto di essere trasferito in Libia per scontare la sua pena – una richiesta che venne inopinatamente rifiutata dalle autorità britanniche. A quel punto, il governo scozzese si accordò con noi per uno scambio di prigionieri, ma quando l’accordo venne raggiunto, il nostro assistito soffriva di cancro alla prostata, e così abbiamo deciso di seguire la strada del “rilascio compassionevole” previsto dalla legge penale scozzese. Insomma, esiste un duraturo rapporto con la Libia, e per queste ragioni, quando la Libia è stata sottoposta a sanzioni ed è stata attaccata illegittimamente, era chiaro che io sarei stata una delle persone che avrebbe dato una mano.
Gheddafi è solamente un “mad dog”, un cane pazzo (come lo definì Ronald Reagan nel 1986), o c’è una parte della storia che durante tutti questi anni non è ancora stata raccontata?
In realtà, i “mad dog” con cui ho avuto a che fare in questi anni sono stati Tony Blair e George W. Bush, e in qualche occasione persino il mio amico Silvio Berlusconi, che ho pesantemente criticato per aver partecipato alla guerra in Iraq. Quella attuale in Libia è un grave errore strategico di cui dovrà rispondere davanti al popolo italiano. Così come il Labour ha perso il potere dopo la guerra in Iraq, anche Berlusconi, che ha tutto il mio supporto come amico e come politico, pagherà alle urne il fatto di essersi schierato in questa guerra.
Cercherà di incriminare Silvio Berlusconi, come sta cercando di fare in Inghilterra con Liam Fox, il Ministro della Difesa britannico?
No, non lo farò. È un mio amico, e la questione diventerebbe personale, e quando hai a che fare con casi come questi, non deve mai trattarsi di qualcosa di personale. Silvio Berlusconi è un uomo valido, una persona corretta e onesta (a differenza di quello che molti dicono su di lui), e fino ad ora non è mai stato condannato per nulla, nonostante i 50 processi a cui è stato sottoposto in questi anni. I magistrati di sinistra in Italia sono molto potenti e influenti. Per quanto riguarda l’Iraq e la Libia, tuttavia, Berlusconi sbaglia profondamente; ma se si confrontano questi due errori con tutte le cose giuste che ha fatto, ne esce un quadro generale ben bilanciato.
Secondo lei l’Italia, come ha detto Gheddafi qualche giorno fa, sta cercando di “imporre un nuovo colonialismo?”
Certo. A tal proposito, mio nonno fu tra i primi ad entrare in Libia durante la campagna coloniale, nonché uno dei primi iscritti al partito nazionale fascista [in italiano durante la conversazione, nda]. Attaccando la Libia, l’Italia ha commesso un errore di valutazione sia dal punto di vista legale che strategico. Ed è un madornale errore che spero venga rimediato al più presto, così come spero che il danno che ne deriverà per il popolo italiano non sia troppo grande.
Quando scoppiò la guerra nei Balcani negli anni ’90 del secolo scorso, lei si trovava lì. Trova che a livello internazionale ci siano similitudini tra quello che sta succedendo ora in Libia e quello che è successo nell’ex Jugoslavia?
Sì. Quello che sta succedendo è grossomodo questo. Le ragioni per attaccare un Paese sono principalmente due: la prima è rubare i suoi soldi, la seconda appropriarsi delle sue risorse. In questo caso non si combatte tanto per il petrolio, quanto per rubare soldi: le sanzioni alla Libia decise dall’ONU consistono infatti nel congelamento di quote societarie, proprietà, etc. In Italia, ad esempio, Gheddafi ha quote nell’Unicredit, nella Fiat e in altre società. Questa grande volume di affari ora è bloccato, e l’Unicredit si trova in una posizione di grande potere, dato che può usare quei soldi, garantire gli investimenti e ricapitalizzare il tutto, senza dover ridare nulla al legittimo proprietario. Inoltre, bisogna ricordare che qualora vi siano sanzioni economiche delle Nazioni Unite, sui beni congelati non matura alcun interesse. Ci sono miliardi e miliardi di dollari depositati all’Unicredit e in altre banche italiane: quello che è in ballo con questa guerra in Libia è la stabilità finanziaria dell’Italia. Berlusconi ha agito proprio per questo motivo, e questo è sbagliato, è un grave errore. La questione l’ho sollevata davanti all’Onu sin dal primo giorno: non stiamo parlando di petrolio, ma piuttosto di sottrarre soldi altrui da usare per i propri interessi. È successo lo stesso sia in Iraq che in Serbia. La Serbia ha subito danni economici che ancora oggi non sono quantificabili. Con le sanzioni ONU, le banche possono fare quello che vogliono con quei soldi: a mio avviso, si tratta di un reato ben più grave di qualsiasi cosa abbiano fatto la Parmalat o altre grosse società in Italia.
Dal momento che la Libia non ha firmato lo Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale, chi può incriminare e processare Gheddafi?
Ci sono delle previsioni nello Statuto che permettono di incriminare anche chi non ha firmato. L’America, ad esempio, non ha firmato. Ci sono previsioni analoghe anche nelle Convenzioni di Ginevra.
E pensa che succederà qualcosa?
Ovviamente. Quello che fanno gli Stati Uniti, il Regno Unito e ora anche l’Italia è questo: ammazzano gente. Hanno ucciso Bin Laden, senza un processo, e non sappiamo nemmeno quando e come è morto. Oggi [3 maggio, nda] ho scoperto, tramite dei documenti che mi sono stati consegnati, che Bin Laden era disarmato. Non stava sparando. Sua figlia ha visto con i propri occhi che il padre è stato colpito prima alla testa e poi al petto, e che i colpi hanno mancato di poco un ragazzino di 12 anni. Ripeto: non aveva nessuna arma da fuoco, nulla di nulla. Una cosa del genere io la chiamo “assassinio di stato”: non è né di più né di meno di quello che hanno fatto i fascisti con Matteotti e i nazisti con le persone a loro sgradite.
Quale sarà la vostra prossima mossa nella difesa di Gheddafi?
Non sono io che decido quale sarà la prossima mossa. Gheddafi si trova nel suo paese, quindi una difesa legale non è richiesta in questo momento. Continueremo a rivolgerci sia al Consiglio di Sicurezza che alle Nazioni Unite. È molto probabile che chiederemo alla Corte Penale Internazionale di aprire un’inchiesta sull’assassinio di Saif al-Islam Gheddafi e di tre giovani ragazzi, e la questione è in qualche modo relativamente agevole, dato che non sono stati uccisi dagli Stati Uniti, ma dall’Inghilterra e dalla Francia, due paesi che hanno aderito alla CPI. Ma è bene ricordare che il CPI, così come i tribunali internazionali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda, è un tribunale per i vincitori, non per coloro che hanno subito un’ingiustizia.
Lei crede nella giustizia internazionale?
Assolutamente no, e nemmeno nella giustizia tout court. Non so nemmeno cosa sia. Se cerchi giustizia, è meglio lasciar perdere qualsiasi tribunale in qualsiasi nazione, perché non è certo lì che si può trovare giustizia. Come ho sempre detto: se vuoi giustizia, comprati una pistola.
Dopo la fine (se mai ce ne sarà una) della guerra, pensa che Gheddafi verrà riabilitato in qualche modo?
Gheddafi è già stato riabilitato due volte. Castro è stato riabilitato. Molti dittatori sono stati riabilitati. Persino il Vietnam! Chi mai avrebbe pensato che il Vietnam potesse avere rapporti con gli Stati Uniti? È soltanto una questione di tempo. La Serbia è stata riabilitata. La Russia è stata riabilitata. E la più grande tra le nazioni, la Germania, non solo è stata riabilitata, ma ora ha pienamente realizzato il sogno di Adolf Hitler.
Quale sogno?
Hitler voleva gli Stati Uniti d’Europa comandati dalla Germania. Ed è quello che ha ottenuto, è quello che abbiamo adesso. Per realizzarlo lui utilizzò la forza, ma se solo avesse aspettato un po’ si sarebbe ritrovato con il trattato di Maastricht, e ce l’avrebbe fatta senza uccidere nessuno.
Ehm, sì, forse.
Adolf Hitler è il fondatore dell’Unione Europea. È esattamente quello che voleva: gli Stati Uniti d’Europa, sotto la guida della Germania e della Bundesbank. E questo è quello che ci ritroviamo adesso.
Per finire, può salutare i lettori di LPR con il suo inconfondibile pseudonimo?
[audio:http://www.laprivatarepubblica.com/wptest/wp-content/uploads/2011/05/distefanoforlpr.mp3]
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Drop the Hate / Commenti (8)
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L.
“Lei crede nella giustizia internazionale?
Assolutamente no, e nemmeno nella giustizia tout court. Non so nemmeno cosa sia. Se cerchi giustizia, è meglio lasciar perdere qualsiasi tribunale in qualsiasi nazione, perché non è certo lì che si può trovare giustizia. Come ho sempre detto: se vuoi giustizia, comprati una pistola.”
Tralasciando commenti sulla giustizia fai da te, questa risposta è un tantino destabilizzante.
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Akiller Dee
Bellissimo pezzo,grandissimo Giovanni!