C’est Pas La Chute, C’est L’atterrissage

Pubblicato da Blicero il 1.03.2010

PARIGI – “È una guerra di immigrati contro immigrati!”, mi dice un trentenne mauritano sans papiers (senza documenti, irregolare) riferendosi alle politiche promosse dal ministro dell’immigrazione e dell’identità nazionale Eric Besson, ex socialista nato in Marocco da una madre d’origine libanese.

È un primo marzo speciale a Parigi. Il sole finalmente è riuscito a farsi largo tra la coltre di nubi che da giorni e giorni tinge di un grigio pallido la città. Mi trovo nella piazza antistante al municipio, l’Hôtel de Ville, una piazza in cui c’è ancora la pista da pattinaggio sul ghiaccio e che non è tinta solamente del giallo dei raggi solari, ma anche da quello dei fiocchi che spuntano da numerose giacche e magliette. È il giallo della “Journée sans immigrés”, 24 ore senza immigrati nella vita francese. Ispirata dallo sciopero dei latinoamericani negli Stati Uniti (2006), l’obiettivo di questa iniziativa è quello di sottolineare la necessità della presenza degli immigrati attraverso la loro assenza. Organizzato da un collettivo apolitico e federativo di “cittadini indipendenti”, “24 heures sans nous” non è infatti uno sciopero che ha rivendicazioni nel senso proprio del termine, ma è piuttosto un evento simbolico che punta a sollevare problematiche irrisolte e a stimolare una discussione seria sulla condizione degli immigrati, sulla loro importanza nel tessuto sociale e sulla loro rilevanza nell’economia del paese – rilevanza che la Francia, a differenza di altri paesi, non ha mai analizzato.

Già, perché in questi ultimi mesi in Francia si è parlato molto di “identità nazionale”, di cosa voglia dire essere francese e quali siano i requisiti per rimanerlo/diventarlo, e molto poco dei diritti degli immigrati e del loro impatto sulla vita quotidiana. Lanciato dal ministro Besson – lo stesso che nell’ottobre del 2009 rimpatriò 5 afghani clandestini in Afghanistan, salvo poi accorgersi che in quel paese c’è una guerra da circa dieci anni – il dibattito sull’”identité nationale” è stato strumentalizzato in fretta dalle frange più reazionarie della politica (Front National su tutti), trasformandosi in uno sconclusionato fiume di parole ed infine in un formidabile repertorio di materiale per le varie riviste satiriche francesi, tra cui il Siné Hebdo, che non esita a definirlo come una nuova “marca di carta igienica”.

Quando arrivo è mezzogiorno circa, e la manifestazione vera e propria deve ancora iniziare. L’impressione iniziale è che ci siano più giornalisti e telecamere che immigrati, ma ben presto convergono sulla piazza centinaia e centinaia di manifestanti – sebbene la presenza non sia comunque massiccia. Uno striscione viola recita: “Siamo tutti degli immigrati” ed è tenuto da esponenti della branca parigina del “popolo viola” italiano, i quali mostrano anche foto di Platini (“Immigrato”) e di Pertini (“Emigrato”), che passò tre anni in Francia per sfuggire alla repressione fascista. L’atmosfera è composta, per nulla tesa, anzi giocosa. Ci sono tamburi che rullano, danze, un sosia di Gheddafi in completo nero che suona una specie di chitarra e megafoni da cui escono slogan quali: “Noi siamo in pericolo, non siamo pericolosi!”. I relativamente pochi poliziotti che circondano la piazza se ne accorgono subito, e qualcuno di loro va addirittura a mangiare hamburger e patatine da Quick, l’equivalente francese di McDonald’s.

Mi imbatto in un curioso personaggio che porta una maschera della morte che gli copre metà viso e che regge in mano un cartellone con su scritto: “Vergogna al potere che fa la guerra ai sans papiers”. C’è anche un immigrato, di professione cuoco, che tiene un ombrello costellato di permessi di soggiorno e richieste di regolarizzazione. E questo è il nodo principale della situazione immigrazione in Francia (e in Italia, Spagna e Grecia, anche loro partecipi a questa iniziativa nei rispettivi paesi): il lavoro e la regolarizzazione dei documenti. La maggior parte delle persone presenti in piazza sono infatti sans papiers del Mali, della Mauritania, del Senegal, dell’Algeria e di altri paesi.

Persone che sono consce del rischio di esporsi, di uscire dall’ombra per partecipare alle assemblee o manifestare. Persone che sono rimaste impigliate nelle pieghe di un ciclo economico dominato dalla logica della flessibilità e del profitto, sfruttati da imprenditori che sanno perfettamente che i francesi non lavorerebbero mai a certe condizioni, soggetti alle ondulazioni normative di governi che hanno cambiato troppo spesso, e male, le leggi in materia. Come ha detto Francine Blanche, segretaria della Cgt, i sans papier sono lavoratori “delocalizzati di imprese non delocalizzabili”, strumenti perfetti per la creazione di un mercato al ribasso attraverso la vulnerabilità del loro status giuridico.

E in un apparato statale e sociale fortemente pervaso dalla burocrazia com’è quello francese, essere senza documenti equivale ad essere quello che Giorgio Agamben ha definito “homo sacer”: un uomo totalmente escluso dalla società, un uomo che di fronte al potere è dotato soltanto della sua nuda vita biologica.

E di “nuda vita” la piazza del primo marzo, seppure non numerosissima come ci si attendeva, ne era gremita.

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Drop the Hate / Commenti (3)

#1

La Grève des sans-papier | Terzo occhio.org - fonte di domanda per informare se stessi
Rilasciato il 02.03.10

[…] i giornali italiani non sono capaci di raccontarla decentemente, possiamo rifarci con il post de La Privata Repubblica in trasferta parigina. Share and […]

#2

milena
Rilasciato il 09.03.10

anche i termini usati hanno un loro spessore: confronta sans-papier (persone sprovviste di documento) con clandestini (persone presenti di nascosto e presumibilmente con cattive intenzioni, quantomeno a sbaffo) e puoi assaporare la differenza tra la cultura politica francese (non dimentichiamo libertè ecc…….) e quella italiana, fatta da amichetti del quartierino

#3

John Blacksad
Rilasciato il 10.03.10

Il Sinè Hebdo ha un sito
http://www.sinehebdo.eu
Sembra piuttosto interessante,
peccato che non abbia una versione italiana.
Penso sia troppo radicale per quelli di Internazionale,
non ne pubblicano neppure un frammento
come fanno per altri più “tranquillanti”.

Sinè ha una lunga storia dietro le spalle,
credo sia attivo nella satira addirittura dagli anni’50
su posizioni abbastanza anarchiche che gli hanno impedito
di fare la fine di quelli di Libèration,
fondato da maoisti e da Sartre, ora “cane da riporto
dei socialisti”* e simbolo sbeffeggiato (persino da quelle merde di Repubblica) come simbolo della gauche-caviar;
ha fondato il “suo” Hebdo dopo essere stato cacciato in maniera vergognosa da Charlie-Hebdo, sotto accuse
tendenziose di anti-semitismo
[se continuano a usare questa frase/accusa così a cazzo per qualunque cosa,
vedrete che finirà per diventare un vanto prima o poi.
Già immagino le magliette “Sono stato accusato di antisemitismo da…(aggiungete a vostro piacimento)”]

*frase testualmente sentita in Francia

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