Il Fantasma Di Belgrado
La mattina del 30 agosto 1979 il tennista serbo Ivko Plećević scende dall’abitazione di Belgrado, tira fuori le chiavi della sua Porsche bianca modello Carrera 911-S Targa e si prepara ad andare in Germania. C’è solo un piccolo problema: la Porsche è sparita. “All’epoca i furti di auto non erano molto frequenti. È stato uno choc non vederla lì”, dirà molti anni dopo il tennista. Il giorno prima del furto Josif Broz Tito era atterrato all’Havana, accolto in pompa magna da Fidel Castro, per partecipare al sesto summit del Movimento dei Paesi Non Allineati – iniziativa politica alternativa creata nel 1956 dal leader della Jugoslavia insieme al presidente egiziano Nasser e quello indiano Nehru.
Lo storico Miladin Mladenović racconta di aver visto sfrecciare la Porsche di Plećević a 200 all’ora per la capitale, in un tripudio di freni a mano e derapate. Era la notte del 29 agosto: “La macchina della polizia, che stava andando veloce quanto una lumaca, si trovava dietro di lei. Il guidatore era sconvolto, e altri agenti si tenevano il cappello in testa, cercando di inseguirla”. Le Zavasta in dotazione alle forze dell’ordine belgradesi, del resto, non riuscivano minimamente a tenere il passo di una sportiva del genere, guidata in maniera così sopraffina da un ladro di cui nessuno conosceva l’identità o poteva scorgerne il volto attraverso il finestrino. Un fantasma, in pratica. E così, ogni sera per circa dieci giorni, il Fantasma di Belgrado – così venne ribattezzato il driver – ha sfidato apertamente la polizia con la Porsche “presa in prestito” da Plećević, in una gara al rialzo che ha infiammato, in quei lontani e placidi giorni di fine estate, il cuore dell’autogestione socialista.
La storia, che negli anni è diventata una vera e propria leggenda urbana tramandata di generazione in generazione, è raccontata in “Beogradski Fantom” (2009), film semi-documentaristico a basso budget diretto dall’esordiente Jovan Todorović. Le prime due sere, come ricorda il tassista Mladen Majstorović1, non successe nulla di particolare. Il Fantasma eseguiva le sue spericolate manovre, scherzava con dei poliziotti sempre più confusi e impotenti, li seminava ed evaporava nel nulla. Dalla terza sera in poi, invece, una folla sempre più nutrita di persone aveva cominciato a radunarsi attorno all’enorme rotonda della centralissima piazza Slavija per assistere, tra l’entusiasmo e la Shadenfreude, alle evoluzioni della Porsche bianca.
Le voci cominciarono a spargersi incontrollabili. La macchina, si diceva, apparteneva al musicista Goran Bregović. No, non è di Bregović, però è un tipo speciale di Porsche: l’asse è riempito di mercurio e quindi va più veloce. Dai, non ci credo. Piuttosto, hai visto cosa ha fatto il Fantasma l’altra sera? È andato in giro su due ruote per diversi chilometri – e la polizia non riusciva comunque a stargli dietro! Che poi, siamo sicuri che non c’entri il governo in questa faccenda? Potrebbe anche essere un esperimento delle autorità, un modo di contingentare e controllare le masse nella remota eventualità che muoia Tito. Sì, dev’essere un complotto.
In realtà, il Fantasma guidava per il semplice piacere di farlo. Non aveva un itinerario prestabilito, se si eccettuano le sortite in piazza Slavija2. In uno dei primi giorni di settembre il Fantasma portò la sua provocazione a un piano ancora superiore: chiamò una radio molto popolare all’epoca e avvertì gli agenti che anche quella sera si sarebbe esibito. Per correre ai ripari, la polizia chiamò Dušan Živković – un ispettore di polizia molto duro e dai metodi sbrigativi, una testa calda cresciuta tra i vicoli di Belgrado3 e, soprattutto, un pilota provetto, tanto da essere conosciuto nell’ambiente con il soprannome di “Fangio” – e gli affidò una Ford Granada, con il preciso compito di tallonare e fermare a tutti i costi la Porsche bianca.
Nonostante i blocchi stradali, una presenza sempre più massiccia di volanti (persino la squadra Omicidi arrivò ad occuparsi del caso) e “Fangio”, il Fantasma continuò a compiere le sue scorribande pressoché indisturbato. “Voleva giocare con la polizia. Ci ha fatto sembrare dei coglioni”, sostiene nel film l’agente Dragiša Cvetković. Che però aggiunge: “Anche se non potevamo di certo dirlo in faccia ai nostri superiori, tutti noi agenti più giovani eravamo dei suoi fan”. Intanto, ai piani alti della catena di comando, le borse sotto gli occhi si stavano gonfiando in maniera preoccupante e le tempie pulsavano all’impazzata. Il summit dei Paesi Non Allineati stava per concludersi, e il Maresciallo sarebbe tornato il 9 settembre: difficilmente avrebbe assistito alle prodezze del Fantasma con lo stesso fervore manifestato dai belgradesi.
Dopo diversi giorni di caccia, la polizia non aveva ancora la minima idea su chi ci fosse dietro quel volante. Il primo ad immortalare il volto del Fantasma è stato il fotografo Ilija Bogdanović, il quale, tuttavia, si è ben guardato dal consegnare le foto agli agenti. “Non volevo averlo sulla mia coscienza. Io il mio lavoro l’avevo fatto, ora la polizia doveva fare il suo”. Giunti a questo punto, i poliziotti erano veramente pronti a tutto. Secondo l’antropologo Ivan Kovačević, “le forze dell’ordine erano uno dei pilastri del regime socialista. Erano intoccabili. Nessuno poteva mettere in dubbio la loro autorità. Farlo era un affronto diretto al regime stesso. Per questo credo abbiano reagito così duramente”. La corsa del Fantasma finì in un’affollatissima piazza Slavija, infrangendosi contro un autobus della polizia. Gli agenti non riuscirono ad arrestare subito il guidatore, che si confuse nella folla e scappò. Non c’era ancora un colpevole da dare in pasto a Tito, ma almeno le parate avrebbero potuto svolgersi senza imbarazzanti disturbi.
Il Fantasma venne prelevato dalla casa in cui abitava con i suoi genitori grazie ad una soffiata anonima, probabilmente proveniente dall’ambiente dei “fanatici dell’auto” belgradesi. L’uomo che mise sotto scacco l’intero l’apparato di sicurezza della capitale serba era Vlada Vasiljević, un 29enne già noto alla polizia per alcuni precedenti e soprannominato “Vasa Opel” per la predisposizione a rubare le Opel. Restò in carcere per quasi due anni. Si teneva in forma facendo le flessioni ed era enormemente rispettato da tutti gli altri carcerati. Dopo una visita della sorella riuscì addirittura a evadere per qualche giorno. Voleva fare un’ultima corsa, per dimostrare allo Stato di non aver vinto del tutto. Morì nel 1982 a soli 31 anni, schiantandosi con una vecchia Lada (rubata, ovviamente) nei pressi di Požarevac, 80 chilometri a sud-est di Belgrado.
Nessuno è in grado di ricostruire con precisione quali fossere le reali motivazioni di Vasiljević. Alcuni sostengono che volesse semplicemente correre con una Porsche senza rispettare alcun limite o regola. Altri dicono che voleva umiliare la polizia – una sorta di vendetta, una personale ribellione che per qualche giorno ammaliò una popolazione intorpidita, non troppo abituata a farsi domande o a mettere in discussione il potere. La lettura più suggestiva, ad ogni modo, è quella che scorge nelle scorribande del Fantasma una sfida aperta al regime del Maresciallo4, un vero e proprio atto sovversivo realizzato attraverso metodi non convenzionali. Lo scrittore, architetto e dissidente Momčilo Selić – condannato a sette anni di carcere nel 1980 per “propaganda ostile” a causa di un articolo di sette pagine intitolato “Sadrzaj” (Contenuti) e pubblicato sul magazine underground Casovnik – ha confidato al regista Todorović che “forse quello che scrivevo non era così efficace come quello che faceva Vlada. Guidava una Porsche per gioco, ma allo stesso tempo il suo “lavoro” aveva un contenuto politico universale molto forte. Le sette pagine per cui sono stato condannato non erano così spontanee, potenti e creative”.
La motivazione politica è intrigante, ma non afferra in profondità l’essenza del Fantasma di Belgrado – un’essenza che non è sovversiva, ma ludica e profondamente inscritta nel carattere culturale balcanico. Nella lingua serbocroata esiste infatti il verbo “nadmudrivati”, che letteralmente significa fare a gara a chi è più saggio. “Nadmudrivanje suparnika” è l’essere più astuti dell’avversario5. Uno jugoslavo vuole vincere a tutti i costi, possibilmente sbeffeggiando l’avversario. Non riesce proprio a concepire la sconfitta: esce completamente di testa. E le conseguenze di una sconfitta della polizia – per giunta così bruciante – possono essere ancora più imprevedibili e devastanti.
Vlada Vasiljević, infine, ha fatto parte di una ristrettissima cerchia di uomini che hanno superato quello che Hunter S. Thompson, in “Hell’s Angels”, chiamava The Edge, il Limite6:
Quando si va al massimo, il margine è minimo e non c’è spazio per gli errori. Dev’essere fatto come si deve…e in quel momento comincia quella strana musica, quando provochi a tal punto la fortuna che la paura diventa euforia e inizia a vibrarti lungo le braccia. […] Il Limite…Non è semplice spiegarlo, solo quelli che l’hanno oltrepassato sanno davvero dov’è. Gli altri – i vivi – sono quelli che si sono spinti lontano fin dove hanno sentito di poter mantenere il controllo, e a quel punto si sono tirati indietro, o semplicemente rallentato, o hanno fatto quel che dovevano fare quando è giunto il momento di scegliere tra Adesso e Dopo.
Durante gli ottanta minuti della pellicola, il Fantasma di Belgrado sta sempre zitto. Non rallenta. Non si tira mai indietro. Mostra semplicemente in cosa consista davvero quella scelta tra Adesso e Dopo.
- Uno dei pochi “fanatici dell’auto” belgradesi degli anni ‘70/’80, giovani ladri con il culto delle macchine sportive e fedine penali particolarmente lunghe. [↩]
- È probabile che, oltre alle esigenze di “spettacolo”, il Fantasma avesse scelto proprio quella rotonda per motivi strategici: c’erano infatti ben otto uscite, un numero che gli permetteva di sfuggire disinvoltamente alle volanti della polizia. [↩]
- “Alcuni tra i miei amici hanno scelto di diventare dei criminali. Io mi sono arruolato in polizia”, dice davanti alle telecamere di Todorović. [↩]
- Un regime sicuramente autoritario e paranoico, ma certamente non totalitario come una certa storiografia occidentale vuole far credere. [↩]
- La spiegazione del verbo “nadmudrivati” è presa dal libro “La Jugoslavia, il basket e un telecronista” di Sergio Tavčar, voce storica di Telecapodistria. [↩]
- Lo scrittore americano si riferiva alle motociclette, ma il concetto si può ugualmente applicare ad una Porsche che per dieci giorni si è mangiata le strade di Belgrado. [↩]
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Drop the Hate / Commenti (3)
#2
Charlie
con Nikolic e le Zastava che hanno adesso la storia potrebbe ripetersi :D
#3
Barravento76
Bellissima storia, somiglia molto alla trama di
Vanishing Point – 1971
#1
pyng
che stile la citazione di sergio tavčar..