Ganbaro, Ishinomaki! Storia Di Un Giornale Dentro Lo Tsunami
I. Ishinomaki, 11/03/2011, ore 14.46: Apocalisse a tre voci.
Kumagai Toshikatsu (redattore dell’Ishinomaki Hibi Shimbun specializzato nella sanità): Quando è arrivato lo tsunami stavo facendo un reportage sulla costa. Nonostante stessi sopra un muro, l’acqua mi arrivava alla vita.
Yokoi Yasuhiko (redattore culturale Ishinomaki Hibi Shimbun): Stavo scrivendo un articolo in redazione quando c’è stato il terremoto. I pannelli fissati al muro e al soffitto sono caduti. Ho fotografato la scena. Subito dopo ci siamo ripartiti i compiti.
Todokoro Ken’ichi (caporedattore dell’Ishinomaki Hibi Shimbun): Non appena sono cessate le scosse violente, sono salito in macchina e mi sono diretto verso il municipio. La strada ondulava di continuo. I semafori si muovevano, emettevano cigolii e sembrava che stessero per cadere da un momento all’altro. Ho anche sentito l’allarme dello tsunami lanciato dagli altoparlanti.
Kumagai Toshikatsu: Ad un certo punto ho visto una grossa cassa di plastica. Mi ci sono aggrappato e mi sono lasciato trascinare dalla corrente. Ho rischiato di annegare quando ho perso la presa nei pressi di una risaia. Sono riuscito a riaggrapparmi alla mia zattera di fortuna, che alla fine mi ha trasportato verso l’entroterra. In seguito sono stato risospinto verso il mare, dove mi sono arrampicato su una piccola imbarcazione. Ho visto della gente che galleggiava sopra un tetto. La mia macchina fotografica non funzionava più, ma stavo comunque pensando a riportare quanto avevo visto.
Yokoi Yasuhiko: Io dovevo occuparmi di seguire la situazione sulle strade, completamente congestionate dalle persone che fuggivano. Mi sono fermato in un parcheggio per dirigermi verso la strada commerciale. Ho visto dei serbatoi d’acqua, fissati ai tetti, sfracellarsi a terra. A quel punto volevo rientrare al giornale, ma lo tsunami era ormai arrivato.
Todokoro Ken’ichi: Il municipio era senza corrente e il tetto era sfondato. Davanti alla stazione c’erano ragazzini in lacrime e persone stordite. Il cellulare non funzionava. Sono tornato al comune per raccogliere delle informazioni sui danni causati dallo tsunami. È stato in quel momento che ho visto apparire sullo schermo bianco la parola “devastazione”.
Kumagai Toshikatsu: Circondato dal frastuono dello tsunami, sono stato colpito da un freddo al quale era difficile resistere. Ho rischiato di morire più di una volta. L’indomani mattina sono stato soccorso da un elicottero che mi ha portato all’ospedale di Ishinomaki.
Yokoi Yasuhiko: Fuori dal centro d’evacuazione ho assistito, sopraffatto dal malessere, alla scena di una città senza luce sotto un cielo stellato. Dalla direzione di Kadowaki si poteva scorgere una voluta di fumo, accompagnata dall’odore di pesce e gas, sulla quale si riflettevano le forme rosse degli incendi.
Todokoro Ken’ichi: Non avrei mai potuto immaginare che questa regione sarebbe stata ridotta a niente. Eravamo completamente isolati, sommersi dall’acqua. Di notte, con la città avvolta dalle tenebre, uno strano silenzio si è propagato. Lo tsunami aveva già reclamato molte vite e spazzato via una parte della città.
II. Missione.
L’Ishinomaki Hibi Shimbun è un quotidiano locale (tiratura: 11mila copie) che copre Ishinomaki, città di circa 160mila abitanti nella prefettura di Miyagi, una delle più colpite da terremoto e tsunami. L’11 marzo 2011 la sede del giornale, situata in una piccola zona industriale, è stata totalmente allagata. Le rotative erano danneggiate, la corrente elettrica non c’era più e il personale si trovava in un profondo stato di choc. L’allora direttore Ômi Kôichi ricorda perfettamente quei momenti: “Dopo 99 di attività, ci siamo chiesti cosa ‘potessimo fare’ e cosa ‘dovessimo fare’ in queste condizioni. La risposta è stata chiara. ‘Selezionare le informazioni indispensabili per la popolazione locale e trasmettergliele”. È questo che giustifica la nostra esistenza”.
Per sei giorni, dal 12 al 17 marzo, l’Ishinomaki Hibi Shimbun è diventato un giornale murale, redatto a mano su enormi fogli bianchi, affisso dai giornalisti fuori dai centri d’evacuazione e sulle pareti della città sconvolta1. Lo slogan delle edizioni d’emergenza era: “Per delle azioni fondate su informazioni esatte!”. Spiega Ômi Kôichi: “Era cruciale determinare il contenuto e la natura delle informazioni da privilegiare per dare un senso a tutto quello che stava accadendo e smontare le voci che si stavano propagando. Mentre i maggiori quotidiani del Paese cercavano la rapidità, noi abbiamo voluto mettere l’accento sulla giustezza e precisione dei fatti. I sei giornali che abbiamo scritto a mano sono degli elementi viventi”. Bilancio finale? Assolutamente tecno-scettico: “Credo che l’esperienza – che ha consistito nel passare da una situazione confortevole dove l’informazione arrivava su terminali collegati ad Internet ad una situazione dove non c’era più nulla – non abbia fatto altro che confermare l’inutilità di questi macchinari”.
Lo scrittore Izekawa Natsuki, analizzando l’avventura del piccolo quotidiano, ha detto che “questi giornali murali hanno assunto un’importanza spropositata nel mondo dei media e tra i giornalisti”. l’impresa di questi 27 giornalisti giapponesi è stata celebrata in almeno due mostre – una a Parigi e l’altra a New York. “La loro pubblicazione – continua Izekawa – è diventata un simbolo della resistenza della stampa di fronte alla catastrofe. Con una certa timidità, del resto, gli altri giornalisti mormorano: ‘non abbiamo fatto il lavoro che andava fatto…’ Se si verificherà un altro disastro da qualche altra parte, spero che i cronisti si dotino di questa incrollabile volontà dimostrata dai colleghi dell’Ishinomaki Hibi Shimbun. In fondo, le lodi ai giornali murali devono anzitutto sensibilizzare l’insieme dei media”.
Allargando lo sguardo, il filosofo e saggista Uchida Tatsuru non ha dubbi: la stampa giapponese versa in uno stato di profonda “dissociazione mentale”, oscillando continuamente tra “distacco” (la fredda cronaca degli eventi) e “attaccamento” (un intervento troppo invadente e soggettivizzato). Questa “dissociazione”, pertanto, “impedisce ai media di maturare, e danneggia la loro capacità di reagire correttamente in caso di avvenimento imprevisto. In questo momento la stampa ha bisogno, parlando in astratto, di ‘carne’, di ‘polpa’”. Se vogliono resuscitare, i media non hanno altra scelta che tornare ad essere degli ‘esseri viventi’”. Come ha fatto l’Ishinomaki Hibi Shimbun.
Ma la fama eroica e le expo in giro per il mondo non bastano. Un anno dopo lo tsunami, infatti, il giornale è in gravissime condizioni finanziarie. Dalle otto pagine pre-sisma si è passati a quattro. Gli abbonati sono 7,500, un calo percentuale di quasi il 50%. La pubblicità è praticamente scomparsa. Nonostante le difficoltà, il nuovo direttore Hiroyuki Takeuchi non ha alcuna intenzione di mollare: “Siamo nati e cresciuti qui. E moriremo qui”. Alle finestre del primo piano dello stabile che ospita la redazione è ancora attaccato un cartello. La scritta recita: “Ganbaro Ishinomaki”. Coraggio, Ishinomaki.
III. L’Atomo e la Stampa.
A quasi un mese dall’11 marzo e dall’incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi, Peter Bradford (ex membro della Nuclear Regulatory Commission e attualmente consigliere della Union of Concerned Scientists) rilasciava questa dichiarazione a William T. Vollmann: “Sono sempre più preoccupato perché l’opinione pubblica giapponese non è in grado di procurarsi informazioni veritiere. Nella prima settimana credevo che il governo giapponese avesse fondate ragioni di essere cauto. Ora, alla terza settimana, è sempre più evidente che alcune informazioni vengono tenute nascoste”. In effetti, il comportamento dell’esecutivo è stato molto simile a quello del Consiglio Superiore durante la II Guerra Mondiale – ossia un occultamento pervicace, costante e irresponsabile della realtà.
Due ore dopo il sisma, il governo ha diramato un comunicato stampa di tal genere:
Allo stato attuale nessuna fuga di radioattività è confermata. I residenti delle zone interessante, di conseguenza, non hanno bisogno di prendere misure eccezionali. Non è indispensabile alcuna evacuazione, e i cittadini possono restare a casa, tenendosi informati tramite la radio, la televisione e i bollettini delle autorità preposte ai soccorsi. Vogliate mantenere il sangue freddo.
L’ordine di evacuare l’area in raggio di 3 chilometri attorno alla centrale è arrivata solo 7 ore dopo il terremoto. Verrà esteso a 30 chilometri il 16 marzo, nonostante gli Stati Uniti – che in passato avevano consigliato la chiusura del vecchio impianto – avessero invitato i propri cittadini ad evecuare la zona in un raggio di 80 chilometri.
Il 12 marzo l’Asahi Shimbun, il secondo giornale per vendite del Giappone, ha pubblicato un articolo dal titolo “Nessun danno ai reattori nucleari” in cui si legge: “Le centrali nucleari sono state chiuse per ragioni di sicurezza […]. Dopo il sisma dell’11 marzo, non è stato rilevato alcun danno ai reattori, e non è stata registrata alcuna fuga di radioattività”. Trincerandosi dietro la pretestuosa esigenza di non diffondere ulteriormente il panico tra la popolazione, i media giapponesi hanno ripreso acriticamente le menzogne delle autorità. Nulla di cui sorprendersi: l’indipendenza del sistema editoriale giapponese è fortemente compromessa dalla collusione inestricabile tra potere, industria e pubblicità.
Come in ogni altra parte del mondo, i quotidiani nazionali sono affiancati da due o più giornali per regione. Tuttavia, la diffusione delle testate locali è dovuta a una legge entrata in vigore durante la II Guerra Mondiale, che imponeva la presenza di “un giornale per prefettura” in modo da controllare la stampa e uniformare l’informazione militare. Questo sistema ha creato un monopolio de facto a cui gli editori, anche dopo la fine del conflitto, non hanno rinunciato. Il problema durante l’emergenza è stato che, non avendo fondi o non potendo mandare i giornalisti sul campo, i giornali locali si sono affidati ai servizi delle due agenzie di stampa nazionali, Kyôdô e Jiji, che non hanno certo brillato per imparzialità e precisione.
Sul versante finanziario, invece, la stampa giapponese dipende in larga parte dalle generose sovvenzioni delle compagnie elettriche. La Tepco (Tokyo Electric Power Company), che ha il monopolio sulla regione di Kantô e gestisce la centrale di Fukushima, dispone di un budget pubblicitario di 21 miliardi di yen all’anno – una cifra enorme utilizzata non per pubblicizzare i propri prodotti, ma per finanziare giornali, scrittori, scienziati ed esperti. Alla dipendenza si aggiunge anche la scarsa formazione professionale dei giornalisti giapponesi sui temi energetici. A parte rarissime eccezioni (su tutte il Tokyo Shimbun), i reporter non hanno le competenze per parlare di energia nucleare, e men che meno di farlo in maniera critica.
IV. Shudan ishiki.
L’11 luglio 2012 la Commissione d’inchiesta ufficiale su Fukishima ha rilasciato la propria relazione finale. Oltre ad incolpare la Tepco e a definire l’incidente nucleare “un disastro profondamente provocato dall’uomo”, la Commissione si è prodotta in una dura accusa alla cultura giapponese.
Questo è stato un disastro “Made in Japan”. Le sue cause fondamentali vanno ricercate nelle radicate convenzioni della cultura giapponese: la nostra obbedienza riflessiva; la nostra riluttanza a criticare l’autorità; la nostra devozione all’’attenersi al programma”; la nostra coscienza di gruppo; la nostra insularità.
In riferimento alla “coscienza di gruppo” (shudan ishiki), è utile riportare la spiegazione di questa peculiarità giapponese fatta da Nello Puorto in un numero di Limes2 di qualche mese fa:
Lo spirito comunitario dà più importanza all’armonia del gruppo che ai singoli individui. La fedeltà ai valori della comunità genera un sentimento di solidarietà diffuso in tutti i settori della società nipponica. Per l’individuo è indispensabile uniformarsi a questi valori ed agire per il bene comune. Spesso, ciò che giova al gruppo viene percepito come la cosa più giusta da fare. In pubblico gli obiettivi del gruppo cui si appartiene vanno sempre sostenuti, anche in caso di convinzioni personali difformi. Il gruppo impedisce così agli individui di essere autonomi, eliminando il dissenso. Allora anche una situazione di estremo disagio quale quella post-sismica non genera tensioni sociali o proteste, in nome della coesione della comunità.
In un Giappone che l’anno scorso si è risvegliato con “il ventre squarciato” – come ha detto il fotografo Minato Chiciro – la “coscienza del gruppo” ha percorso questi due binari paralleli. Da un lato ci sono stati i giornalisti dell’Ishinomaki Hibi Shimbun, che con i loro giornali murali hanno recuperato la funzione pubblica del giornalismo e lavorato esclusivamente per il bene comune. Dall’altro il vertice del potere nipponico – bugiardo, corrotto e disperatamente arrocato su rendite di posizione spazzate via dalla catastrofe.
In definitiva, scrive il filosofo Uchida, “il terremoto dell’11 marzo 2011 ci ha mostrato come il nostro sistema sociale sia molto più allo sbando di quanto avessimo potuto pensare”.
(La maggior parte delle informazioni e citazioni di questo articolo sono tratte da ZOOM Japon, supplemento al n. 18, marzo 2012. Le ultime due foto sono tratte da Big Picture.)
- Rassegna dei titoli dei giornali murali. 12 marzo:” Sisma più forte mai registrato sull’arcipelago e tsunami gigante. La regione d’Ishinomaki fortemente colpita. Per delle azioni fondate su informazioni esatte!” / 13 marzo: “Le squadre di soccorso arrivano da tutto il Paese. Valutazione progressiva dei danni. Per delle azioni fondate su informazioni esatte!” / 14 marzo: “Viveri e materiali arrivano da tutto il Paese. Attenzione alle repliche”. / 15 marzo: “Allestito un centro per i volontari. Una radio per dare notizie ai vostri cari”. / 16 marzo: “Arrivano messaggi di sostegno da tutto il Paese. A Onogawa non si hanno notizie di 5000 persone”. / 17 marzo: “Tornata l’elettricità. 10mila abitazioni ritrovano l’accesso alla corrente elettrica. La speranza ha fatto la sua apparizione!” [↩]
- Quaderno speciale di Limes: “La guerra di Libia”, Dossier Fukushima. [↩]
#1
Fede
Ottimo articolo! L’argomento è molto interessante… :)
PS.
Qui però credo ci sia un refuso: “oscillando continuando tra distacco”…
forse è “continuamente”…