Kolovrat Nation
I
Vendetta e Delirio a piazza Manezhnaya.
Egor Sviridov ha 28 anni. Si trova con quattro amici in un locale del distretto Golovinskii, a Mosca. È un accanito tifoso dello Spartak e fa parte di “Fratia”, l’associazione ultras della squadra della capitale. La mezzanotte del 6 dicembre 2010 è da poco passata. L’indomani Sviridov deve andare in Slovacchia per la Champions League. Il gruppo di amici esce dal locale e si ferma in via Kronstadt, aspettando che passi un taxi.
Aslan Cherkesov ha 26 anni ed è nato nella Cabardino-Balcaria, una repubblica autonoma del Caucaso settentrionale. La sua fedina penale dice che nel 2008 ha dato fuoco ad un’automobile e nel 2009 ha picchiato un vecchio conoscente del liceo. Quella stessa notte è insieme a Ramazan Utarbiev e altri conoscenti caucasici in un pub. Quando escono, intorno alla mezzanotte e mezza, incrociano il gruppo di Sviridov. Sentono delle risate. Stanno forse ridendo di loro? Nel giro di qualche secondo scoppia una rissa. Non è chiaro chi abbia iniziato per primo: Cherkesov dice che sono stati Sviridov & co.; gli amici di Sviridov affermano il contrario. I caucasici sono in superiorità sia numerica che fisica. Ad un certo punto Cherkesov estrae la sua pistola (una Streamer 1014 di fabbricazione turca caricata con pallottole di gomma) e comincia a sparare all’impazzata.
La polizia, allertata dai residenti, arriva pochi minuti dopo. Gli agenti trovano Sviridov per terra, morto, con due buchi nel petto e mezzo cranio sfondato da un terzo colpo. Cherkesov e i cinque amici vengono subito rintracciati (stavano semplicemente tornando a casa), arrestati e portati al commissariato di Golovinskii. Nel giro di qualche ora, secondo alcune testimonianze, un carosello di macchine si materializza fuori dalla centrale di polizia, e una piccola folla di caucasici si assembra davanti all’ingresso. Alle cinque di mattina Utarbiev e altri quattro vengono rilasciati su cauzione. Mikhail Sokolov, vice-commissario del distretto, li accusa solamente di lesioni aggravate. Cherkesov, accusato invece di omicidio volontario, è l’unico a rimanere dietro le sbarre. La decisione è duramente contestata, e in molti si chiedono cosa ci sia dietro questa diversità di trattamento. Mentre per alcuni si tratta di pura e semplice intimidazione, per l’ex giornalista e attuale deputato della Duma Aleksandr Khinstein (del partito “Russia giusta”), la polizia si sarebbe fatta corrompere.
Ma ai tifosi di “Fratia” e agli estremisti di destra non interessano questi dettagli. L’unica cosa importante è che cinque caucasici – cinque “bestie”, come li chiamano loro – hanno fatto fuori un loro amico, un russo, e l’hanno fatta franca. Il 7 dicembre cinquecento persone si ritrovano davanti alla stazione di polizia per chiedere l’arresto immediato dei complici di Cherkesov. Improvvisamente, sospinta da ignoti agitatori, la folla si dirige verso l’autostrada Leningrad e la blocca. La polizia, colta alla sprovvista da questo cambio di programma, resta a guardare.
Per l’11 dicembre i capi ultrà, d’accordo con la polizia, organizzano una manifestazione commemorativa in via Kronstadt. È un’occasione che l’estrema destra non può farsi sfuggire: oltre alla prospettiva di vendetta etnica, si fa largo l’idea di “impossessarsi” per almeno un giorno di piazza Manezhnaya (a due passi dal Cremlino), che da anni è teatro di furiose battaglie tra fascisti, antifascisti, nord-caucasici e altri gruppi. Il giorno prima della manifestazione Aleksandr Belov, leader del movimento xenofobo DPNI (Dviženie protiv nelegal’noj immigracii, “Movimento contro l’Immigrazione Clandestina”), carica così i suoi: “In caso di scontro, dovete essere i primi ad attaccare – è sempre meglio avere tre magistrati a giudicarvi che quattro persone a pestarvi. Parlare con questi animali è inutile: una bestia capisce le cose solo con la forza…Andare in giro senza un coltello o una pistola è una negligenza criminale”.
Arriva l’11 dicembre. La manifestazione in via Kronstadt si svolge secondo i piani ed è relativamente pacifica – se si escludono sporadiche cacce all’immigrato. Quando tutto sembra finito, la folla progressivamente si sposta verso piazza Manezhnaya. Qui cinquemila giovani – fascisti, ultrà dello Spartak e altri – spianano le braccia al cielo in un saluto hitleriano, gridano “La Russia ai russi!” e si apprestano a trasformare la piazza in un campo di battaglia. I caucasici (o meglio: chiunque avesse un aspetto vagamente caucasico) sono ovviamente il bersaglio naturale. Anche i poliziotti se la vedono brutta: alcuni agenti sono presi nel mezzo e picchiati brutalmente.
(Foto: fonte.)
Gli scontri con l’OMON (il reparto speciale della polizia russa) sono selvaggi e continuano per tutto il pomeriggio in un’orgia di fumogeni, sprangate e lacrimogeni. Verso sera gli estremisti si ritirano nella metropolitana, dove proseguono l’opera di distruzione assaltando chiunque abbia “un aspetto non-slavo”. Il bilancio complessivo della giornata è di quaranta feriti gravi e due morti (due lavoratori uzbeki, accoltellati). “La prossima volta prenderemo il mausoleo di Lenin”, promette un giovane del DPNI. “E butteremo fuori dal Cremlino quei traditori”.
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Drop the Hate / Commenti (3)
#2
Fede
Con i tuoi articoli scopro sempre qualcosa che primo ignoravo (o quasi).
Ottimo lavoro.
Una domanda: ma tu di Medvedev cosa ne pensi? E’ solo una propaggine di Putin, o conta davvero qualcosa?
#1
Stefano
Eccellente. Agghiacciante.